mercoledì 11 gennaio 2012

Commento a Giacomo

Giacomo 1:22 Siate di quelli che mettono in pratica la parola e non soltanto ascoltatori, illudendo voi stessi.
Giacomo 1:23 Perché se uno ascolta soltanto e non mette in pratica la parola, somiglia a un uomo che osserva il proprio volto in uno specchio:
Giacomo 1:24 appena s'è osservato, se ne va, e subito dimentica com'era.
Giacomo 1:25 Chi invece fissa lo sguardo sulla legge perfetta, la legge della libertà, e le resta fedele, non come un ascoltatore smemorato ma come uno che la mette in pratica, questi troverà la sua felicità nel praticarla.
La speranza necessità di azione e di pratica e queste due cose producono la virtù, che fissa il bene nel soggetto. Se l’azione non creasse un’abitudine non si compirebbe il bene in maniera costante e non si avrebbe progresso nella santità. Questa pratica è una legge di libertà perché è una ripetizione costante e obbligata di un atto libero, il compimento dell’azione buona. Il credente compie azioni di grazia e il ripetersi di questo genera un fenomeno nuovo, la creazione di una virtù. Essa è perfetta rispetto alla forma perché unisce due contrari (libertà e necessità) e rispetto al fine perché inerisce ad un fine ultimo (la felicità). Inoltre se nella fede si esige uno sforzo continuo nel mettere in pratica il precetto, qui i precetti sono già fatti propri ed essi devono solo essere lasciati crescere, come una pianta che spunta dal terreno e si sviluppa. Questo perché nella speranza si torna a coltivare la vita che nella fede si era soppressa, ora purificata dall’ascesi.
La pratica della virtù non è un duro sforzo per modificare se stessi ma un lasciar emergere i precetti e la forza fatti propri nella fase della fede. È un processo spontaneo per cui il credente viene portato a produrre certi atti in vece che altri. Non si tratta dunque principalmente di una libertà di scelta, tipica della fede ma di un’assenza di impedimento.
La legge di libertà è questa spontaneità vitale libera dalle costrizioni esterne ma soggiacente ad una legge interna di sviluppo che la porta verso la carità.
Giacomo 1:26 Se qualcuno pensa di essere religioso, ma non frena la lingua e inganna così il suo cuore, la sua religione è vana.
Qui l’Apostolo presenta una quarta passione peccaminosa: la lingua. Essa inganna il cuore perché fa credere al cristiano che quello che la lingua dice corrisponda a ciò che è vero (il cui luogo è il cuore). Essa gli fa inoltre credere di essere buono solo perché lo afferma a gran voce. Essendo la religione giustizia rispetto a Dio e basandosi la giustizia sulla verità, un culto che si basi su premesse false genera atti inutili, dal momento che Dio non può accogliere nulla di falso. La spontaneità non può nemmeno consistere in un “lasciare andare” la lingua eliminando l’elemento razionale guadagnato nella fede.
Giacomo 1:27 Una religione pura e senza macchia davanti a Dio nostro Padre è questa: soccorrere gli orfani e le vedove nelle loro afflizioni e conservarsi puri da questo mondo.
Una religione perfetta nella fase della speranza consiste nel soccorrere gli orfani e le vedove. Essi, avendo perso il padre e lo sposo, rappresentano coloro che hanno perso il Padre e lo Sposo. Quindi l’azione di chi pratica la speranza è portare Dio a coloro che lo hanno perso, come faceva Gesù. A questo l’Apostolo aggiunge il non contaminarsi con quanto il mondo propone di impuro, per non scambiare il vivere la vita con la pratica della lussuria, come afferma S. Paolo.
Ira, lussuria, accidia e lingua trovano il loro contrario nella purezza e nell’aiuto verso il prossimo.
La religione quindi è giustizia quando fa esattamente quanto è necessario al suo stato, in questo caso ottiene il massimo dell’efficacia e della ricompensa divina.

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