lunedì 20 agosto 2012

20 agosto: San Bernardo

Dal Vangelo secondo Matteo

In quel tempo, un tale si avvicinò e gli disse: «Maestro, che cosa devo fare di buono per avere la vita eterna?». Gli rispose: «Perché mi interroghi su ciò che è buono? Buono è uno solo. Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti». Gli chiese: «Quali?». Gesù rispose: «Non ucciderai, non commetterai adulterio, non ruberai, non testimonierai il falso, onora il padre e la madre e amerai il prossimo tuo come te stesso». Il giovane gli disse: «Tutte queste cose le ho osservate; che altro mi manca?». Gli disse Gesù: «Se vuoi essere perfetto, va’, vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; e vieni! Seguimi!». Udita questa parola, il giovane se ne andò, triste; possedeva infatti molte ricchezze.   Continua a leggere…

mercoledì 25 luglio 2012

Commento a Giacomo

Giacomo 5:9 Non lamentatevi, fratelli, gli uni degli altri, per non essere giudicati; ecco, il giudice è alle porte.
Giacomo 5:10 Prendete, o fratelli, a modello di sopportazione e di pazienza i profeti che parlano nel nome del Signore.
Giacomo 5:11 Ecco, noi chiamiamo beati quelli che hanno sopportato con pazienza. Avete udito parlare della pazienza di Giobbe e conoscete la sorte finale che gli riserbò il Signore, perché il Signore è ricco di misericordia e di compassione.
La pazienza è la virtù principe della speranza perché è la virtù che genera la vita nello sforzo di superare i suoi ostacoli. L’Apostolo esorta a coltivarla e a seguire l’esempio dei profeti. Il profeta è colui che parla per bocca di Dio non in termini sapienziali (come lo scriba devoto) né in termini rituali (come il sacerdote) ma in termini concreti, come disposizioni riguardanti l’ora presente. I profeti, generalmente non ascoltati, devono sforzarsi di convincere il popolo ad attuare la volontà di Dio, il progetto di Dio che lo riguarda. Non è il profeta che deve attuare il progetto, ma il popolo: è la pianta che deve crescere da sola per far frutto. Il profeta spera che questo progetto sia messo in pratica e predica al popolo fino alla morte, come Gesù. Beatitudine e profezia sono la stessa cosa. Quando Gesù manifesta la sua beatitudine sul Tabor lo fa tra due profeti, Elia e Mosè. Il profeta Giobbe per la sua pazienza riceve in dono di stare alla presenza di Dio, allo stesso modo chi conquista la corona del profeta potrà stare alla presenza di Dio nella carità. A Giobbe vengono reintegrati ed aumentati tutti i beni che aveva perso: la sovrabbondanza è simbolo della carità che contiene in sé ogni bene. Coloro che hanno raggiunto la fede sono salvi, coloro che hanno raggiunti la speranza sono beati e coloro che hanno raggiunto la carità sono santi. Alla fine della speranza si raggiunge il titolo di profeti così come alla fine della fede si conquista la regalità.
Giacomo 5:12 Soprattutto, fratelli miei, non giurate, né per il cielo, né per la terra, né per qualsiasi altra cosa; ma il vostro «sì» sia sì, e il vostro «no» no, per non incorrere nella condanna.
Disposizioni finali dell’Apostolo. Non giurate, perché Dio non muta e i suoi profeti sono i suoi araldi, e soprattutto perché non è possibile prevedere o costringere la volontà di Dio in un nostro giuramento ma è necessario sempre mettersi in ascolto delle disposizioni divine.
Giacomo 5:13 Chi tra voi è nel dolore, preghi; chi è nella gioia salmeggi.
Chi è nel dolore è da questi paralizzato e reso arido, quindi gli manca la forza di esprimere moti profondi dell’anima nella preghiera, meglio è che preghi sobriamente cercando di contenere quello che ha nel cuore; chi è nella gioia invece canti perché la gioia gli fornisce una forza aggiuntiva che va essa stessa a lode di Dio. 
Giacomo 5:14 Chi è malato, chiami a sé i presbiteri della Chiesa e preghino su di lui, dopo averlo unto con olio, nel nome del Signore.
Giacomo 5:15 E la preghiera fatta con fede salverà il malato: il Signore lo rialzerà e se ha commesso peccati, gli saranno perdonati.
Giacomo 5:16 Confessate perciò i vostri peccati gli uni agli altri e pregate gli uni per gli altri per essere guariti. Molto vale la preghiera del giusto fatta con insistenza.
Giacomo 5:17 Elia era un uomo della nostra stessa natura: pregò intensamente che non piovesse e non piovve sulla terra per tre anni e sei mesi.
Giacomo 5:18 Poi pregò di nuovo e il cielo diede la pioggia e la terra produsse il suo frutto.
Chi è in pericolo di vita ha il dovere di chiamare a sé i sacerdoti e questi devono fare due cose: ungerlo con l’olio e poi pregare per lui. L’unzione con l’olio è il sacramento dell’unzione, che è una preparazione alla morte del malato. L’olio è simbolo della sapienza e l’estrema unzione è il sacramento della preparazione spirituale che ogni uomo deve avere di fronte alla morte. Così come il matrimonio rende sacro un vincolo naturale, così l’unzione rende sacro un bisogno naturale, che è quello della preparazione –spirituale e filosofica- dell’uomo davanti alla morte. Ciò è un vincolo naturale dal momento che la morte lega tutti gli uomini secondo un rapporto di natura, in questo caso la natura ferita dal peccato originale. La preghiera poi serve a guarire il malato e poi eventualmente, a perdonargli i suoi peccati. “Il Signore lo rialzerà e se ha commesso peccati…” quindi il Signore lo rialza, anche se non ha commesso peccati, e ciò rende legittima anche una lettura letterale del passo. In un altro senso il malato è colui che subisce tentazioni di peccato, l’unzione con l’olio rappresenta l’istruzione che il peccatore riceve sulla sua condizione e le preghiere faranno passare in lui le tentazioni. In entrambi i casi si richiede la purificazione dai peccati nella confessione dei propri peccati: nel primo caso la preghiera avverrà prima dell’unzione (poiché ogni unzione è una consacrazione a Dio e per consacrarsi a Dio è necessario essere “agnelli senza macchia”) e nel secondo caso dopo (perché la conoscenza dei propri peccati è previa al loro perdono). Il cristiano nella speranza deve aver già superato la fede e quindi conquistato il titolo di Re e con esso le virtù di diritto e di giustizia. Per questo l’Apostolo lo chiama giusto. Coloro poi che vogliono mettere in pratica la giustizia ricevono persecuzioni secondo quanto scritto nelle beatitudini. Elia è il tipo del profeta e del giusto, le grazie (le piogge) cessano sotto di lui per tre anni e sei mesi, tempo anticristico indicante il periodo della punizione degli uomini. Finito questo periodo le grazie ritornano e gli uomini posso ritornare ad intraprendere la vita quotidiana (il frutto della terra).
Giacomo 5:19 Fratelli miei, se uno di voi si allontana dalla verità e un altro ve lo riconduce,
Giacomo 5:20 costui sappia che chi riconduce un peccatore dalla sua via di errore, salverà la sua anima dalla morte e coprirà una moltitudine di peccati.
Tutta la speranza ha come fine le anime, il portare anime a Dio. L’azione, la pazienza, la virtù, tutto è finalizzato all’amore del prossimo che è vero amore di Dio. La virtù e la religione non sono altro dall’amore dei miei fratelli, solo che questo amore non è ancora autonomo ma deve ancorarsi a regole, quelle della speranza. Ma questa è una fase breve, che passa velocemente e già trasfigura nella dolce e dura carità. 
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sabato 21 luglio 2012

Commento a Giacomo

Giacomo 5:1 E ora a voi, ricchi: piangete e gridate per le sciagure che vi sovrastano!
Giacomo 5:2 Le vostre ricchezze sono imputridite,
Giacomo 5:3 le vostre vesti sono state divorate dalle tarme; il vostro oro e il vostro argento sono consumati dalla ruggine, la loro ruggine si leverà a testimonianza contro di voi e divorerà le vostre carni come un fuoco. Avete accumulato tesori per gli ultimi giorni!
“Divorate dalle tarme” realizza la profezia di Isaia “Non temete l’insulto degli uomini, non vi spaventate per i loro scherni; poiché le tarme li roderanno come una veste”che contrappone l’uomo giusto e l’uomo iniquo. Se la giustizia si ottiene nella speranza e se questa ha a che fare con le realtà mondane, allora la giustizia è una virtù orientata al possesso di queste e quindi la ricchezza è il peccato che più direttamente le si oppone. L’oro e l’argento terreni sono contrapposti all’oro e all’argento della sapienza divina secondo il passo “È molto meglio possedere la sapienza che l'oro, il possesso dell'intelligenza è preferibile all'argento.”. La sapienza poi è la verità più alta, e la verità è il fondamento della giustizia. “La ruggine si leverà…e divorerà”: ognuno dopo la morte è accusato dalle conseguenze dei propri atti (la ruggine è l’esito del possesso della ricchezza) e da queste punito; ognuno viene punito con ciò con cui pecca. L’uso dei tempi passato, presente e futuro usati assieme si riferisce al passato, presente e futuro della fase attuale, la speranza. “Le vostre vesti…” è un riferimento alla fede: mentre i devoti pensavano a ripulire l’interno dell’anima i ricchi pensavano ad abbellirne l’esterno; “Il vostro oro…” fa riferimento alla speranza: ora accumulate oro e argento invece di tesori in cielo; “La loro ruggine…” riguarda il futuro della speranza, ovvero la fase della carità, dove invece di un fuoco d’amore troveranno un fuoco di dolore.

Giacomo 5:4 Ecco, il salario da voi defraudato ai lavoratori che hanno mietuto le vostre terre grida; e le proteste dei mietitori sono giunte alle orecchie del Signore degli eserciti.
Giacomo 5:5 Avete gozzovigliato sulla terra e vi siete saziati di piaceri, vi siete ingrassati per il giorno della strage.
Giacomo 5:6 Avete condannato e ucciso il giusto ed egli non può opporre resistenza.
I ricchi sono gli apostoli del peccato. Sono coloro che peccano al livello della speranza. Come ci sono tre livelli di santità ci sono tre livelli di peccato e i ricchi appartengono al secondo, il peccato contro la speranza. Tolgono la speranza ai poveri privandoli dei mezzi per sostenersi e progredire, saccheggiano a loro uso tutto ciò su cui possono mettere le mani. Se il peccatore della fede è tutto concentrato su se stesso e il suo mondo meschino il ricco pecca pubblicamente e verso molti. Pecca con i mezzi che Dio gli ha dato per raggiungere i beni eterni, che disprezza. Il ricco non è solamente il possidente ma tutti coloro che hanno ottenuto il potere nel mondo attraverso il peccato, cioè la stragrande maggioranza. Il ricco vuole ed ottiene tutto fino a derubare gli uomini della loro mente e infine della loro anima.

Giacomo 5:7 Siate dunque pazienti, fratelli, fino alla venuta del Signore. Guardate l'agricoltore: egli aspetta pazientemente il prezioso frutto della terra finché abbia ricevuto le piogge d'autunno e le piogge di primavera.
Giacomo 5:8 Siate pazienti anche voi, rinfrancate i vostri cuori, perché la venuta del Signore è vicina.
Il Signore viene alla fine delle persecuzioni, al termine della carità, personale ed ecclesiastica. La virtù nella fase della speranza è come una pianta che da seme è divenuta albero. Cresce da sola ed ha bisogno solamente di difesa dai parassiti e di nutrimento. La difesa dai parassiti consiste in tutti gli avvertimenti contro i peccati della lingua, dell’ira e delle ricchezze che possono uccidere la virtù. Il nutrimento, cioè le buone azioni, servono invece ad aumentare velocemente le dimensioni dell’albero e a renderlo più resistente. Non è l’agricoltore che concima il terreno ma è Dio che –quando vuole- lo bagna. È lui che decide i tempi in cui l’albero viene nutrito, non il fedele. Le piogge d’autunno e quelle di primavera possono poi significare il nutrimento della fede e quello della speranza: la fede è una fase generalmente cupa e piena di timore ed è rappresentata da una stagione triste come l’autunno; la speranza invece è una fase di gioia e di attesa come lo è la primavera, che è gioiosa perché la natura rinasce e stagione di attesa perché si attendono i frutti dell’estate. 
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martedì 17 luglio 2012

Mt 11,20-24: Il giorno del giudizio

Dal Vangelo secondo Matteo


In quel tempo, Gesù si mise a rimproverare le città nelle quali era avvenuta la maggior parte dei suoi prodigi, perché non si erano convertite: «Guai a te, Corazìn! Guai a te, Betsàida! Perché, se a Tiro e a Sidòne fossero avvenuti i prodigi che ci sono stati in mezzo a voi, già da tempo esse, vestite di sacco e cosparse di cenere, si sarebbero convertite. Ebbene, io vi dico: nel giorno del giudizio, Tiro e Sidòne saranno trattate meno duramente di voi. E tu, Cafàrnao, sarai forse innalzata fino al cielo? Fino agli inferi precipiterai! Perché, se a Sòdoma fossero avvenuti i prodigi che ci sono stati in mezzo a te, oggi essa esisterebbe ancora! Ebbene, io vi dico: nel giorno del giudizio, la terra di Sòdoma sarà trattata meno duramente di te!».

Anche la storia della Chiesa può essere suddivisa nelle tre fasi di fede, speranza e carità. Il primo periodo vede la predicazione degli Apostoli e la chiarificazione dei dogmi attraverso i primi Concilii e l'opera dei dottori della Chiesa, la purificazione degli eremiti e dei monaci è l'inizio della purificazione della fede dopo l'esplicitazione dei fondamenti della fede. Posseduta l'ortodossia dopo la lotta con le eresie può incominciare la purificazione della Chiesa. Questa dura fino agli Ordini mendicanti, che inaugurano la fase della speranza. Domenico e Francesco predicano dopo dodici secoli in cui la santità consisteva nel cancellare i propri peccati nella solitudine del chiostro: ora la santità diventa l'apostolato, il portare Cristo alla gente. Il domenicano potrà vincere la sfida con il benedettino rispetto alla vita più vicina a quella del Cristo non perché una sia oggettivamente superiore all'altra, ma perché i tempi sono maturi per imitare Cristo in un altro modo. Gli ordini mendicanti prima e i chierici regolari dopo (come i gesuiti) compiranno il loro apostolato in tutto il mondo e in tutti gli ambiti dell'umano. La teologia sistematizza le conoscenze, si applica al diritto e all'apologetica contro gli altri apostolati.  Ciò termina all'incirca con la rivoluzione francese. Essa pone fine all'espansione della Chiesa e questa lentamente perde tutte le conquiste fatte nei secoli precedenti. Nel secolo XVII perde le persone di alta cultura e nel XVIII le persone di medio-alta cultura; la prima guerra mondiale distrugge lo stato cristiano e la seconda la società cristiana; il secondo dopoguerra relega la Chiesa a minoranza internazionale. La Chiesa sale il calvario come il Cristo. La santità si trasforma. Dall'apostolo si passa al martire e dal religioso all'anima vittima. Ritorna l'immobilità ma non quella del monaco, tipica della fede; ma quella del malato inguaribile, del profeta inascoltato, dei sacerdoti mistici, simili al crocefisso. La carità è dono integrale, riguarda anima e corpo e quando Dio agisce in anima e corpo significa che si è nel tempo della carità. La carità, poiché non ha niente oltre, non parla in parabole, è esplicita, per questo chi la rifiuta si espone al giudizio, e a chi più ha più sarà richiesto.
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mercoledì 13 giugno 2012

Commento a Giacomo


Giacomo 4:13 E ora a voi, che dite: «Oggi o domani andremo nella tal città e vi passeremo un anno e faremo affari e guadagni»,
Giacomo 4:14 mentre non sapete cosa sarà domani!
Ma che è mai la vostra vita? Siete come vapore che appare per un istante e poi scompare.
Giacomo 4:15 Dovreste dire invece: Se il Signore vorrà, vivremo e faremo questo o quello.
L’uomo libero nello Spirito deve essergli fedele e non cedere alle tentazioni delle ricchezze e del proprio arbitrio. La vita acquisita fino a questo momento è tutto merito del Signore
Giacomo 4:16 Ora invece vi vantate nella vostra arroganza; ogni vanto di questo genere è iniquo.
Giacomo 4:17 Chi dunque sa fare il bene e non lo compie, commette peccato.
L’arroganza deriva dal falso giudizio che afferma l’indipendenza dell’uomo da Dio. Fare il bene secondo la volontà di Dio consiste nell’obbedienza e questa nell’agire secondo i progetti della Provvidenza. Chi tralascia questo dovere non solo è colpevole di ciò che tralascia ma anche di tutte le conseguenze che da quella mancanza derivano. 
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venerdì 25 maggio 2012

Commento a Giacomo

Giacomo 4:7 Sottomettetevi dunque a Dio; resistete al diavolo, ed egli fuggirà da voi.
L’umiltà poi porta all’obbedienza perché l’umile riconosce giusto lasciare che siano i più capaci a comandare. Il fedele deve resistere al diavolo perché il diavolo cercherà sicuramente di tentarlo con la superbia secondo le parole “ chi ha intenzione di servire il Signore si prepari alla tentazione”. La tentazione del diavolo nella speranza è poca in confronto alla tentazione nella fede e nella carità. Nel vangelo Gesù è tentato fino alla vittoria nel deserto e poi dopo l’ultima cena, come affermano le parole “Dopo aver esaurito ogni specie di tentazione, il diavolo si allontanò da lui per ritornare al tempo fissato”.
Giacomo 4:8 Avvicinatevi a Dio ed egli si avvicinerà a voi. Purificate le vostre mani, o peccatori, e santificate i vostri cuori, o irresoluti.
La spontaneità nel cuore del fedele, che lo dirige verso azioni buone, lo porta verso la carità e quindi verso Dio. Dio poi ricambia per poter essere totalmente nel fedele. Dio si allontana se vengono compiute azioni malvagie o se ci si macera nell’indecisione. Nel primo caso l’azione peccaminosa fa perdere anche le grazie relative alla fede dal momento che intelletto e volontà agiscono insieme e chi pecca contro la volontà invalida anche l’intelletto. Il peccato necessita quindi di una purificazione. L’indecisione non è in sé un peccato di questo tipo perché non c’è volontà né azione, ma impedisce di raggiungere un grado di santità più elevato. L’indecisione cronica ha altre cause, dettate a monte da un peccato da eliminare. 
Giacomo 4:9 Gemete sulla vostra miseria, fate lutto e piangete; il vostro riso si muti in lutto e la vostra allegria in tristezza.
Giacomo 4:10 Umiliatevi davanti al Signore ed egli vi esalterà.
In caso di peccato nella fase della speranza è necessaria penitenza. Per prima cosa è necessario riflettere sulla pochezza dei beni spirituali posseduti (Gemere sulla vostra miseria) su quanto questi dipendano dal favore del Signore; successivamente compatirsi, anche pubblicamente se necessario (Fate lutto). Le manifestazioni di vita (allegria) che hanno accompagnato la vita del cristiano in questo momento devono essere momentaneamente bloccate e il loro posto va lasciato alla pratica dell’umiltà.
Giacomo 4:11 Non sparlate gli uni degli altri, fratelli. Chi sparla del fratello o giudica il fratello, parla contro la legge e giudica la legge. E se tu giudichi la legge non sei più uno che osserva la legge, ma uno che la giudica.
Giacomo 4:12 Ora, uno solo è legislatore e giudice, Colui che può salvare e rovinare; ma chi sei tu che ti fai giudice del tuo prossimo?
La legge di cui si parla è la legge di libertà cui si accennava sopra. Lo Spirito soffia dove vuole e anche il cristiano animato dallo Spirito è libero perché agisce secondo la volontà dello Spirito. Il cristiano che segue lo Spirito partecipa della sua libertà. Questa libertà può scandalizzare i fratelli perché non risponde alle logiche del mondo ma a quelle della carità. L’uomo nella speranza è già un uomo spirituale e si comporta da uomo spirituale, vale a dire obbedisce più a Dio che agli uomini. L’obbedienza presuppone l’ascolto e l’uomo d’azione sacra ascolta Dio e ne esegue i comandi senza badare all’opinione della gente. Dio è l’autore di questa legge e il solo giudice, dal momento che la conosce perfettamente. Infatti solo chi conosce la legge può arbitrarla. Non solo, Dio è giudice e legislatore perché può “salvare o rovinare”. Qui non si tratta di salvezza o rovina delle anime, perché Dio non danna nessuna anima, ma di salvezza o rovina delle opere degli uomini. La funzione legislativa in senso largo deriva quindi da un potere che Dio ha sulle opere degli uomini. Questo è un potere di conservare o distruggere ciò che l’uomo fa in base al fatto che l’opera si conformi alla verità, Dio stesso. Quindi quel giudizio che Dio dà sulle opere degli uomini e l’azione divina che ne consegue sono la causa dello sbocciare di una spontaneità sacra mentre l’uomo coltiva la virtù della speranza. La Provvidenza è causa della vita dell’uomo e fa in modo che l’uomo partecipi della sua natura. L’uomo beato agisce come Dio, sempre nella verità e in perfetta sintonia con il vangelo.  
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martedì 8 maggio 2012

Commento a Giacomo

Giacomo 4:1 Da che cosa derivano le guerre e le liti che sono in mezzo a voi? Non vengono forse dalle vostre passioni che combattono nelle vostre membra?
Chi si trova nella speranza si trova nel mondo. Qui lavora per il regno attraverso azioni concrete che trasmettono il vangelo di Gesù. Si può fare ciò da soli ma più spesso si coopera in molti per lo stesso scopo. Le guerre e le liti minano la fiducia nel gruppo e fanno fallire il progetto. La causa sono gli istinti non domati che si attivano quando il credente ricomincia, dopo le prove della fede, a condurre una vita nel mondo.
Giacomo 4:2 Bramate e non riuscite a possedere e uccidete; invidiate e non riuscite ad ottenere, combattete e fate guerra! Non avete perché non chiedete;
Le passioni sono una brama, cioè un desiderio di possesso che si manifesta in un modo specifico, come desiderio frustrato che non riesce ad ottenere ciò che vuole. L’oggetto della brama per questo motivo è odiato e l’odio si spinge fino alla distruzione dell’oggetto o all’uccisione della persona. “Non chiedete” perché la richiesta sarebbe un atto di umiltà la quale è opposta al possesso. 
Giacomo 4:3 chiedete e non ottenete perché chiedete male, per spendere per i vostri piaceri.
Coloro poi che chiedono in base all’egoismo non conquistano la fiducia degli altri e soprattutto di Dio. Questo impedisce di aprire la strada verso la carità che non ha di mira il proprio interesse ma il dono gratuito di sé.
Giacomo 4:4 Gente infedele! Non sapete che amare il mondo è odiare Dio? Chi dunque vuole essere amico del mondo si rende nemico di Dio.
L’infedeltà deriva dalla perdita di una verità, in questo caso che “amare il mondo è odiare Dio”. Coloro che conoscono la verità e devono metterla in pratica, se trascurano ciò perdono sia i meriti dell’azione sia quelli della sapienza. In questo caso la via alla carità è chiusa perché la verità persa è una verità che si mette in pratica nella speranza, punto intermedio tra fede e carità. In secondo luogo perché all’interno della speranza il precetto “amare il mondo è odiare Dio” è il collegamento tra il mondo, il luogo della speranza e l’amore di Dio, l’amore di carità. Chi odia il mondo e ama Dio passa alla carità, chi fa il contrario si impantana nelle realtà mondane e non ascende.  
Giacomo 4:5 O forse pensate che la Scrittura dichiari invano: fino alla gelosia ci ama lo Spirito che egli ha fatto abitare in noi?
Questa gelosia è diversa dalla precedente perché non è gelosia carnale ma spirituale. Ciò vuol dire che non è alimentata dalla brama ma dall’amore di carità, in cui ognuno è immagine della seconda persona della Trinità. Il Padre mette lo Spirito nel credente perché questo nel battesimo e nella vita di grazia  è simile a Gesù. 
Giacomo 4:6 Ci dà anzi una grazia più grande; per questo dice: Dio resiste ai superbi; agli umili invece dà la sua grazia.
Una grazia più grande dei beni del mondo, la carità che contiene tutti i beni. I superbi sono coloro che mettono al primo posto i propri meriti, gli umili coloro che si riconosco più deboli degli altri. Gli umili si riconoscono più deboli di Dio e in nome di ciò ricevono tutto quello che per le proprie forze non potrebbero ottenere.  
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mercoledì 2 maggio 2012

Commento a Giacomo

Giacomo 3:13 Chi è saggio e accorto tra voi? Mostri con la buona condotta le sue opere ispirate a saggia mitezza.
La saggezza è il sapere derivato dall’esperienza. L’accortezza è l’attenzione ad avere, reperire o trattare dati. Entrambe sono intelligenze pratiche: la prima contiene un riferimento al tempo passato; la seconda al tempo futuro, perché l’accortezza è in previsione di un evento futuro. Queste due virtù sono raggiunte attraverso azioni concrete (opere) di carattere morale (di buona condotta) in cui la ragione formale sia la mitezza (l’assenza di ira) ottenuta tramite l’esperienza e l’esercizio (indicata dalla saggezza). Dunque l’uomo che raggiunge la mitezza raggiunge pure un’intelligenza pratica che abbraccia passato, presente e futuro. L’affermazione è illuminata dalla beatitudine “Beati i miti perché erediteranno la terra”. I miti, ottenuta la mitezza tramite le prove, ereditano la terra, vale a dire il complesso delle realtà terrene illuminate dalla luce di Dio. La terra poi corrisponde alle realtà temporali oggetto della saggezza e dell’accortezza, perché la temporalità è la condizione naturale del creato. Le prove delle beatitudini corrispondono alle “opere ispirate a saggia mitezza” che, se sono opere di Dio, sempre incontrano persecuzioni; “erediteranno” poi indica il carattere specifico delle prove. Si eredita come i figli, e il Figlio di Dio è Gesù, dunque ereditare la terra significa “ottenerla come ha fatto Gesù”. Dunque “la buona condotta” indica la condotta che ebbe Gesù, e quindi le prove che lui ha patito nel raggiungimento della mitezza. Dunque coloro che coltivano la mitezza tramite le persecuzioni che ha subito Gesù, raggiungono una virtù pratica di gestire tutte le cose, passate presenti o future.  
Giacomo 3:14 Ma se avete nel vostro cuore gelosia amara e spirito di contesa, non vantatevi e non mentite contro la verità.
Gelosia ed ira, passioni contrarie alle beatitudini, mettono in pericolo anche il raggiungimento della verità. Infatti anche se l’oggetto di fede è ortodosso non si è totalmente nella verità perché ci si crede giusti quando non lo si è. Un errore sullo stato di grazia del soggetto fa uscire il soggetto stesso dalla verità.
Giacomo 3:15 Non è questa la sapienza che viene dall'alto: è terrena, carnale, diabolica;
La vanità è detta terrena perché si oppone alla fede, celeste; è detta carnale perché si oppone alla speranza, di beni eterni; è detta diabolica perché si oppone alla carità, di cui i demoni sono privi.  
Giacomo 3:16 poiché dove c'è gelosia e spirito di contesa, c'è disordine e ogni sorta di cattive azioni.
Le cause della vanità sono la gelosia e l’ira. La prima perché denigrando l’avversario innalza se stessi. La seconda perché l’ira spinge allo scontro, questo al sopruso e quest’ultimo alla vanità della vittoria. Il disordine deriva in entrambi i casi dalla brama di possesso che chiude la strada alla carità, essendo questa dono gratuito secondo le parole “c’è più gioia nel dare che nel ricevere”.  
Giacomo 3:17 La sapienza che viene dall'alto invece è anzitutto pura; poi pacifica, mite, arrendevole, piena di misericordia e di buoni frutti, senza parzialità, senza ipocrisia.
La sapienza che viene da Dio (l’alto) è anzitutto pura perché nasce dalla fede e dalla sua purificazione. Poi è pacifica, mite, arrendevole, misericordiosa, che sono i buoni frutti di cui parla anche San Paolo ai Galati. Qui Paolo tratta gli stessi temi di Giacomo, ma svolgendo anche la parte relativa alla fede. Egli termina con l’elenco dei frutti dello spirito che sono “amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé”. Si ritrovano pace, mitezza, arrendevolezza (benevolenza) misericordia (amore e bontà), pazienza (dominio di sé), senza ipocrisia (fedeltà). 
Giacomo 3:18 Un frutto di giustizia viene seminato nella pace per coloro che fanno opera di pace.
È scritto: “Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio”. Giacomo ci dice che a coloro che compiono opere di pace, in queste stesse opere riceveranno il dono della giustizia. La beatitudine specifica che in queste opere si manifesterà la somiglianza con Cristo, il Figlio di Dio. Somiglianza che riassume la giustizia secondo le parole “Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo trattò da peccato in nostro favore, perché noi potessimo diventare per mezzo di lui giustizia di Dio”. Tommaso afferma che, come i frutti sono la parte ultima e migliore della pianta, così i frutti spirituali sono la parte ultima dell’ascesi, i fini di cui l’uomo deve godere. Quindi i frutti si otterranno alla fine della fase della speranza, come premio per la semina –effettuata nella fede- e per la cura della pianta –nella speranza-.  
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martedì 17 aprile 2012

Commento a Giacomo

Giacomo 2:24 Vedete che l'uomo viene giustificato in base alle opere e non soltanto in base alla fede.
Giacomo 2:25 Così anche Raab, la meretrice, non venne forse giustificata in base alle opere per aver dato ospitalità agli esploratori e averli rimandati per altra via?
Giacomo 2:26 Infatti come il corpo senza lo spirito è morto, così anche la fede senza le opere è morta.
Raab crede che il Signore abbiamo compiuto miracoli in Egitto e opera di conseguenza: si schiera dalla parte degli Israeliti e salva la sua famiglia. Raab –il cristiano- crede nella parola attraverso la fede e al momento giusto, secondo la volontà del Signore, lo dimostra con l’azione; il risultato sarà la salvezza di altre anime, in particolare delle persone che gli stanno vicino, il suo prossimo. Il corpo senza lo spirito è morto perché lo spirito lo anima. Le opere sono la vita della fede, cioè la fede diventa reale attraverso le opere. Nella speranza dunque le azioni –causa delle opere- sono portatrici di vita sia per il soggetto che forma la sua vita secondo le virtù sia per i destinatari dell’azione che hanno salva la loro anima. Chi ha raggiunto la verità è puro ma se non coltiva la speranza rimarrà senza vita, e quindi sarà come un cadavere lavato. Coloro che muoiono purificati –perché pentiti dei loro peccati- ma senza opere devono rimediare in purgatorio, dove otterranno vita a caro prezzo. Per questo le devozioni delle anime del purgatorio si basano sul sangue di Cristo: perché esso è la vita delle anime.
Giacomo 3:1 Fratelli miei, non vi fate maestri in molti, sapendo che noi riceveremo un giudizio più severo,
Giacomo 3:2 poiché tutti quanti manchiamo in molte cose. Se uno non manca nel parlare, è un uomo perfetto, capace di tenere a freno anche tutto il corpo.
“Non vi fate maestri in molti” può significare due cose. Innanzitutto che i maestri debbano essere scelti tra persone degne, perché è un compito difficile, che riserba punizioni in caso di fallimento. In secondo luogo coloro che guidano altri lungo la via del vangelo devono usare prudenza e ricordarsi che il peccato è sempre in agguato.
E se qualcuno afferma che le parole del Vangelo “non chiamatevi tra voi maestri, solo uno è il vostro maestro” stiano ad indicare che non ci devono essere sacerdoti, questi nega il valore della Lettera, poiché qui è scritto “non vi fate maestri in molti, sapendo che noi riceveremo un giudizio più severo” il che indica che almeno Giacomo era un maestro e dunque non solo il Cristo può fregiarsi di questo titolo. Coloro che, per spirito o per ministero, hanno autorità, si ricordino di controllare la lingua, perché ogni parola insegna e l’insegnamento è l’azione propria dei maestri.

Giacomo 3:3 Quando mettiamo il morso in bocca ai cavalli perché ci obbediscano, possiamo dirigere anche tutto il loro corpo.
La lingua guida il corpo perché la parola è il risultato dell’interazione tra intelletto, volontà, passioni e carattere. Dunque chi riesce a controllarla ha già controllato tutti questi.
Giacomo 3:4 Ecco, anche le navi, benché siano così grandi e vengano spinte da venti gagliardi, sono guidate da un piccolissimo timone dovunque vuole chi le manovra.
Giacomo 3:5 Così anche la lingua: è un piccolo membro e può vantarsi di grandi cose. Vedete un piccolo fuoco quale grande foresta può incendiare!
“Un po’ di lievito può far fermentare tutta la pasta”.
Giacomo 3:6 Anche la lingua è un fuoco, è il mondo dell'iniquità, vive inserita nelle nostre membra e contamina tutto il corpo e incendia il corso della vita, traendo la sua fiamma dalla Geenna.
Qui l’Apostolo passa dalla lingua intesa come organo al peccato che si compie con questo organo. La lingua è un fuoco significa che essa è una passione; iniqua cioè malvagia; che nasce nel rapporto tra corpo e intelletto; supporta tutti i vizi; si alimenta alla fonte dell’odio (Geenna) che si trova nel profondo del cuore dell’uomo. È un’arma che non risponde più all’intelletto ma mira solamente ad attaccare gli altri uomini e si rivela particolarmente nella speranza. Ciò perché dopo la purificazione la vita torna a scorrere nel credente ed insieme ad essa tutti i possibili peccati legati alla vita e all’azione. La lingua è la passione della comunicazione con gli altri, e quest’ultima è fondamentale nello stadio della speranza.

Giacomo 3:7 Infatti ogni sorta di bestie e di uccelli, di rettili e di esseri marini sono domati e sono stati domati dalla razza umana,
Giacomo 3:8 ma la lingua nessun uomo la può domare: è un male ribelle, è piena di veleno mortale.
La lingua è più pericolosa dei demoni, rappresentati dalle bestie, genera ribellione e porta al peccato mortale.
Giacomo 3:9 Con essa benediciamo il Signore e Padre e con essa malediciamo gli uomini fatti a somiglianza di Dio.
Giacomo 3:10 È dalla stessa bocca che esce benedizione e maledizione. Non dev'essere così, fratelli miei!
Giacomo 3:11 Forse la sorgente può far sgorgare dallo stesso getto acqua dolce e amara?
Giacomo 3:12 Può forse, miei fratelli, un fico produrre olive o una vite produrre fichi? Neppure una sorgente salata può produrre acqua dolce.
Ciò indica il misconoscimento dell’origine dell’effetto dalla causa. Questo peccato deriva dall’assenza del concetto nell’espressione linguistica. Esso deriva essenzialmente da una caduta nel materialismo, dal momento che la parola non obbedisce più all’intelletto ma tende a sostituire le proprie leggi intrinseche a quelle di quest’ultimo. Scompare l’aspetto spirituale della parola e quindi essa –materiale e sensibile- tende a rispondere solamente alle leggi della materia, impenetrabilità; e a quelle della vita sensibile, origine ed espansione. La parola non obbedisce alla logica e non esprime più niente, vuole solo difendere la sua origine –l’io- aumentando in quantità ed opacità. La sorgente della comunicazione non è più l’anima –attraverso il concetto- ma la carne –attraverso la lingua-.
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lunedì 9 aprile 2012

Mt 28,8-15: Pasqua ebraica

Dal Vangelo secondo Matteo


In quel tempo, abbandonato in fretta il sepolcro con timore e gioia grande, le donne corsero a dare l’annuncio ai suoi discepoli. Ed ecco, Gesù venne loro incontro e disse: «Salute a voi!». Ed esse si avvicinarono, gli abbracciarono i piedi e lo adorarono. Allora Gesù disse loro: «Non temete; andate ad annunciare ai miei fratelli che vadano in Galilea: là mi vedranno».
Mentre esse erano in cammino, ecco, alcune guardie giunsero in città e annunciarono ai capi dei sacerdoti tutto quanto era accaduto. Questi allora si riunirono con gli anziani e, dopo essersi consultati, diedero una buona somma di denaro ai soldati, dicendo: «Dite così: “I suoi discepoli sono venuti di notte e l’hanno rubato, mentre noi dormivamo”. E se mai la cosa venisse all’orecchio del governatore, noi lo persuaderemo e vi libereremo da ogni preoccupazione». Quelli presero il denaro e fecero secondo le istruzioni ricevute. Così questo racconto si è divulgato fra i Giudei fino a oggi.

L'ebraismo contemporaneo rigetta assolutamente il cristianesimo. Ferma da duemila anni sulle sue posizioni, la sinagoga reputa Gesù un impostore e uno stregone. La riprovazione del popolo d'Israele è predetta da Cristo nella parabola dei vignaioli omicidi. La vigna sarà tolta a voi e data ad altri. Tuttavia S. Paolo, nella polemica coi gentili, indica gli ebrei come il popolo scelto per primo da Dio e, seppur rigettato, ancora erede dell'Alleanza e di promesse.
Queste parole sono di scandalo ad alcuni poiché essi ritengono che agli ebrei, possedendo l'Antica Alleanza, non serva la Nuova. Gli ebrei avrebbero perciò una via di salvezza riservata che prescinde dal sacrificio di Cristo. E questo è eresia.
Le parole di Paolo si trovano nella Lettera ai Romani:
Essi sono Israeliti e possiedono l'adozione a figli, la gloria, le alleanze, la legislazione, il culto, le promesse, i patriarchi; da essi proviene Cristo secondo la carne, egli che è sopra ogni cosa, Dio benedetto nei secoli. Amen.
e
Quanto al vangelo, essi sono nemici, per vostro vantaggio; ma quanto alla elezione, sono amati, a causa dei padri, perché i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili!
Innanzitutto bisogna dire che tutto ciò che è elencato nel primo passo, l'adozione, le alleanze ecc. è posseduto realmente dagli ebrei. L'Apostolo dice "possiedono" e non "possedevano" per indicare che gli ebrei godono ancora dell'Alleanza. Quindi l'Antica Alleanza è loro. Ma questa alleanza è stata infranta, quindi ciò che prometteva (il Messia) non può più essere ottenuto. L'infrazione è stata una colpa gravissima. Non solo, il permanere nell'infrazione è un peccato che si aggiunge al primo come il persistere si aggiunge al commettere. L'Alleanza stipulata da Dio è "irrevocabile", quindi deve essere ancora posseduta dagli ebrei, ed è per questa Alleanza che sono ancora amati, non in quanto ebrei né tanto meno in quanto giusti.
Per il fatto che gli ebrei hanno infranto l'Alleanza Dio ne ha stipulato una nuova con un altro popolo, i cristiani.
Ma questa non abroga la prima.
Siamo nel caso di una stipula di un contratto in cui una parte non onora il dovuto, la parte lesa è costretta a stipulare un nuovo contratto con un terzo, pena la non fruizione del servizio, quantunque il primo contratto non venga annullato, ma persiste, e può essere portato in giudizio in tribunale. La colpa dei giudei non è stata quella di aver stracciato l'Alleanza, ma di non averla onorata; non l'hanno distrutta, ma disattesa, quindi essa sussiste inalterata.
Paolo afferma:
Quanto a loro, se non persevereranno nell'infedeltà, saranno anch'essi innestati; Dio infatti ha la potenza di innestarli di nuovo!
L'infedeltà indica il rifiuto di Cristo. Quindi fino a che non riconosceranno Cristo non saranno perdonati. Ma ciò è esattamente quello che dovevano fare quando Cristo è giunto in mezzo a loro, non altro. Quindi quello che dovevano fare è identico a quello che devono fare e questo coincide con la loro via di salvezza. L'Antica Alleanza non consiste nei riti, ma nella fede in Cristo, duemila anni fa come ora. Quando si dice che gli ebrei hanno la loro via di salvezza si intende che compiendo gli antichi riti gli ebrei avrebbero salva l'anima: questo parte dal presupposto che l'Antica Alleanza consista nel compiere riti, il che è una sciocchezza. L'Antica Alleanza consiste nella conversione del cuore per poter riconoscere il Messia al tempo opportuno.
Si può dire dunque che l'Antica Alleanza sussiste ancora, ma si aggiunga "solo per gli ebrei"; si dica pure che gli ebrei hanno una loro via di salvezza privilegiata, diversa dagli altri, ma si dica anche che questa via è la conversione a Cristo attraverso la Scritture antiche.
L'Antico Testamento è la via attraverso cui gli ebrei entrano nella Chiesa oggi come allora, è inutile tentare altre strade, valide solo per i gentili. L'Antica Alleanza è il motivo per cui gli Ebrei tuttavia non devono essere presentati come rigettati da Dio, né come maledetti, quasi che ciò scaturisse dalla sacra Scrittura, perché non sono stati rigettati del tutto né sono stati mai maledetti da Dio, ma continuano ad essere amati in virtù dei Padri.
Il sepolcro è simbolo dell'Antica Alleanza da cui risorge il Cristo, dopo averla messa in pratica fino alla morte. Le donne, purificate dalla Legge e dai Salmi vissuti il Venerdì e il Sabato Santo, possono abbandonare le antiche pratiche, riconoscere il Cristo e correre ad annunciarlo ai loro correligionari. Le guardie della Legge, che hanno passato il loro tempo ad obbedire agli ordini dei farisei, quando Gesù risorge non possono fare altro che ritornare da loro per farsi comandare ancora. I farisei li corrompono con beni materiali e gli insegnano a mentire per farli ripiombare nella schiavitù di sempre. Gli ebrei sanno che i cristiani non hanno rubato loro il Messia ma lo dicono per obbedire ai loro capi, scambiati per la Legge, e per non essere imputati di alcuna trasgressione. Infatti i rabbini scrivono e scrivono leggi per giustificare qualunque colpa dei loro discepoli: è questo il loro potere, giustificare con la furbizia. Infatti con le parole Così questo racconto si è divulgato fra i Giudei fino a oggi il Vangelo indica il Talmud, che è la raccolta completa di "questi racconti", di tutte le giustificazioni rabbiniche all'infrazione della Legge.
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venerdì 23 marzo 2012

Commento a Giacomo

Giacomo 2:14 Che giova, fratelli miei, se uno dice di avere la fede ma non ha le opere? Forse che quella fede può salvarlo?
Con le opere l’Apostolo intende il risultato di un’azione religiosa. Son le azioni che si praticano nella speranza, come accennato sopra, e quindi qui si tratta dei rapporti tra fede e speranza.
Giacomo 2:15 Se un fratello o una sorella sono senza vestiti e sprovvisti del cibo quotidiano
Giacomo 2:16 e uno di voi dice loro: «Andatevene in pace, riscaldatevi e saziatevi», ma non date loro il necessario per il corpo, che giova?
Al povero non basta la consolazione spirituale ma serve il sostegno materiale, perché la sua indigenza è materiale e non spirituale. L’esempio illustra due errori. Il primo è il fraintendimento tra spirituale e materiale; il secondo è l’ipocrisia di chi utilizza lo spirituale per evitare lo sforzo materiale.
Giacomo 2:17 Così anche la fede: se non ha le opere, è morta in se stessa.
Il primo caso, applicato ai rapporti tra fede e speranza, denuncia l’errore di chi, ormai purificato nella fede, si ostina a compiere atti tipici della fase che ha già passato. La purificazione a oltranza, che scava nell’anima fino a ferirla, quando non c’è né più bisogno; la ricerca senza posa di significati occulti quando si è già raggiunta la verità; l’azione reale confusa con quella mentale sono alcuni degli errori che il fedele può compiere.
Il secondo caso smaschera le intenzioni di chi non ha voglia di faticare per il prossimo e quindi fa compiere il suo dovere alle chiacchiere.
Giacomo 2:18 Al contrario uno potrebbe dire: Tu hai la fede ed io ho le opere; mostrami la tua fede senza le opere, ed io con le mie opere ti mostrerò la mia fede.
L’Apostolo è ironico, “mostrare la fede senza le opere” è impossibile perché la fede non è nell’ordine del concreto. Qui egli si rifà al versetto “non tutti quelli che diranno “Signore Signore”, entreranno nel regno dei cieli”. Le opere poi si possono mostrare perché sono concrete e da esse si può evincere il fine per cui sono state fatte, appunto la fede.
Oltre a ciò si legge anche così.
Non è possibile mostrare “la fede senza le opere” perché la fede è di ordine spirituale, e quindi invisibile. Tuttavia non basta un culto solamente spirituale perché è necessario mostrare dei risultati concreti. Se è scritto “adorerete in spirito e verità”, indicando la necessità della fede spirituale, è anche scritto che alla fine dei tempi saremo giudicati sulle opere di misericordia, concrete, come dice Gesù nel Vangelo.

Giacomo 2:19 Tu credi che c'è un Dio solo? Fai bene; anche i demòni lo credono e tremano!
La fede porta alla verità e la verità porta alla purezza. I demoni hanno visto Dio e quindi posseggono la verità, tuttavia sono impuri. Questo perché non hanno la carità, l’amore di Dio: sanno chi è Dio eppure lo odiano. Per quanto riguarda la speranza i puri spiriti non la coltivano. La speranza termina ad una certezza relativa ad un concreto, qualcosa presente qui ed ora, che per il cristiano la Provvidenza, Dio considerato come agente nella storia. Ma questi spiriti sono immateriali e atemporali, non hanno storia, quindi il qui ed ora per loro non vale. Se bastasse la conoscenza della verità per la salvezza dell’anima anche i demoni sarebbero salvi.
Giacomo 2:20 Ma vuoi sapere, o insensato, come la fede senza le opere è senza valore?
Giacomo 2:21 Abramo, nostro padre, non fu forse giustificato per le opere, quando offrì Isacco, suo figlio, sull'altare?
Giacomo 2:22 Vedi che la fede cooperava con le opere di lui, e che per le opere quella fede divenne perfetta
Giacomo 2:23 e si compì la Scrittura che dice: E Abramo ebbe fede in Dio e gli fu accreditato a giustizia, e fu chiamato amico di Dio.
Abramo è il patriarca della fede, così come Isacco quello della speranza e Giacobbe quello della carità. Abramo dovette fare corrispondere alla sua fede un gesto concreto, come prova che la sua fede era vera. La prova a cui fu sottoposto Abramo certificò la sua fede. Così la fase della speranza certifica quella della fede. Accade che tutto quello che è stato accumulato nell’anima durante l’apprendimento della verità venga messo in pratica successivamente e quindi realizzato in concreto. Come il seme piantato bagnato genera una pianta, così la parola piantata nell’anima mediante l’acqua della purificazione –e specialmente della confessione- si anima e germina una nuova vita. Nella purificazione si toglie il peccato e si pianta la verità, la quale crescerà nelle opere e nella virtù. La fede cooperava con le opere nel senso che la fede era la causa di quelle opere, perché per fede Abramo andò sul monte.
La fede divenne perfetta perché la fede produce opere, le virtù ed infine la speranza; fede e speranza poi rendono perfetto il credente perché dopo essersi purificato egli ha acquisito forza nelle prove: intelletto e volontà, passione e azione, essere e fare sono pronti, l’uomo è completo. Abramo è amico di Dio perché l’amico non può essere soltanto chi non fa del male ma soprattutto chi fa del bene, l’amico è colui che ha sopportato insieme delle prove. La prova qui è la crocefissione di Gesù, che Abramo condivise in figura col Padre.

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domenica 4 marzo 2012

Mc 9,2-10: Questi è il Figlio mio, l’amato.

Dal Vangelo secondo Marco


In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse su un alto monte, in disparte, loro soli.
Fu trasfigurato davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche. E apparve loro Elia con Mosè e conversavano con Gesù. Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Rabbì, è bello per noi essere qui; facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Non sapeva infatti che cosa dire, perché erano spaventati. Venne una nube che li coprì con la sua ombra e dalla nube uscì una voce: «Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!». E improvvisamente, guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo, con loro.
Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare ad alcuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risorto dai morti. Ed essi tennero fra loro la cosa, chiedendosi che cosa volesse dire risorgere dai morti.

Nella Somma teologica Tommaso dimostra la processione dello Spirito Santo dal Padre e dal Figlio.
Le persone divine si distinguono non per la loro essenza ma per le loro relazioni, queste devono essere relazioni contrapposte e quindi d’origine.
Nell’economia trinitaria le relazioni tra le persone divine sono relazioni d’origine: le relazioni che legano Padre e Figlio e Padre e Spirito Santo non sono opposte tra loro perché se no, non essendo compossibili, risulterebbe o che le relazioni non esisterebbero o che le relazioni sono due e i termini primi delle stesse sono distinti, cioè esisterebbero due Padri. Al contrario le relazioni tra Padre e Figlio e tra Padre e Spirito non sono opposte e quindi possono coesistere avendo un termine in comune, la persona del Padre. Tuttavia ciò non garantisce che le relazioni non possano coincidere, con l’identità di Figlio e Spirito. Tale garanzia si ottiene con una relazione opposta, quindi distinguente, quindi d’origine tra le due persone divine. Questa è la relazione d’origine tra Figlio e Spirito.
Per persona si intende un centro sostanziale di atti spirituali di natura individua. È il centro spirituale che unifica gli atti della sostanza secondo criteri razionali e volitivi. Come è possibile che questo avvenga nella Trinità? Come spiegare che esistono tre centri unificatori spirituali nella sostanza Dio? Si deve dimostrare che tutte e tre le Persone compiono questa unificazione e che le tre unificazioni sono possibili contemporaneamente, che non si contrastano tra loro e che sono necessarie. Inoltre lo schema delle processioni (il Padre da nessuno, il Figlio dal Padre, lo Spirito dal Padre e dal Figlio) deve rimanere costante.

Processione è un termine più universale di causa. Causa indica origine e produzione, processione solo origine. Dicendo che il Padre genera il Figlio noi diciamo che il Figlio procede dal Padre e che è da lui “prodotto”, nel senso di azione che conduce a qualcosa. Generazione è il termine che il Vangelo utilizza per dire origine e “creazione divina”, diversa dalla creazione degli enti finiti. La generazione può essere assimilata ad una causalità efficiente, così come la processione dello Spirito. Il Figlio invece causa lo Spirito di causalità strumentale, lo Spirito procede attraverso il Figlio.
La seconda persona della Trinità è il Figlio e il Verbo, le parole sono prese dalla famiglia e dal processo intellettivo. Lo Spirito è la Vita, l’Anima e il Dono. L’anima è il principio di vita, quindi anima e vita sono assimilabili, e anche dono, perché la vita è il primo dono di Dio. L’anima poi è forma e quindi lo Spirito sarà causa formale, infine sarà bellezza perché “forma et pulchrum convertuntur”.

Il Padre è causa efficiente, è causa del Figlio e dello Spirito. Il Figlio è causa finale dell’azione del Padre, il Padre genera in vista del Figlio. Lo Spirito non è causa finale perché il Padre non vuole un Figlio per amare, ma genera un Figlio e quindi (attraverso di Lui) ama. Lo Spirito è causa formale. Rispetto al Padre perché la vita del Padre è la sua forma, rispetto al Figlio perché lo Spirito è la formazione del Figlio.
 Se nella generazione del Figlio è il Padre la persona che unifica la sostanza divina perché permette l’esistenza del Figlio e dello Spirito, anche dal punto di vista del Figlio si ha un dominio della sostanza. Così come nell’educazione dei bambini il bambino è il centro dell’educazione perché è il soggetto che apprende e gli adulti sono al suo servizio, così allo stesso modo nell’educazione del Figlio Padre e Spirito sono al suo servizio. Quella che dal punto di vista del Padre è una generazione da quello del Figlio è un apprendimento, il Padre è attirato dal Figlio è per lui fa ogni cosa, il Figlio è il motore immobile che fa fare al Padre l’atto divino di riempirlo di ciò che gli è proprio, la propria natura. Al che il Figlio non si limita a ricevere dal proprio educatore ma apprende, cioè si forma e la formazione del Figlio è lo Spirito Santo. Ecco perché sia il Figlio sia lo Spirito sono detti Sapienza: il primo perché Verbo, il secondo perché Forma. 
Per questo è lo Spirito che procede dal Figlio e non il contrario: perché l'azione attraverso il fine produce delle forme, il fine attraverso l'azione penetra nelle cose e ne modifica la forma. Ma non accade che un soggetto  produca dei fini attraverso delle forme. Un uomo attraverso un martello dona una forma al ferro, non un fine (privo di forma). Se l'uomo dell'esempio produce per un fine, mettiamo per divertimento, questo divertimento non scaturirà dall'azione del martello, ma sarà previo all'azione. Le forme in sé non generano fini.
Ciò che il Padre dona al Figlio attraverso il Figlio diventa Spirito all'interno del Figlio, il quale è nel Padre. In tutto il processo domina il Figlio, che domina come persona la sostanza divina. Anche nella formazione del Verbo ritroviamo un dominio. Lo sanno coloro che dedicano tutta la propria vita ad una idea, la quale trascende il soggetto e lo supera in importanza e regola la vita di coloro che gli si dedicano. Qui il Verbo domina, lo scopo a cui il Padre dedica la sua Vita è il suo Verbo.
Lo Spirito è causa formale suprema. Nel Figlio come sua formazione, nel Padre come sua anima. La forma è l’anima e l’anima può essere intesa come principio esteriore (Agostino: l’anima rete che tiene assieme ) o interiore (Tommaso: forma come principio di intelligibilità). L’anima è principio di vita e la vita si esprime attraverso il possesso, guidato dalla volontà a livello spirituale o dalla brama ai livelli più bassi. Per questo Agostino dice che lo Spirito è Amore, perché la vita è possesso, il possesso spirituale è la carità e dunque lo Spirito, essendo vita e spirito, è carità.
E bisogna stare attenti a dire che lo Spirito non è la Carità perché questa è comune a tutte tre le persone e quindi appartiene all’essenza di Dio. Primo perché l’essenza è ciò che si esprime nella definizione e nella definizione si esprimono forma e materia. Ora la seconda non è presente in Dio mentre forma è lo Spirito Santo come abbiamo visto, e ciò si può argomentare.
Dio è perfezione ma nella perfezione è compresa l’alterità personale, l’altro. La generazione di un figlio, l’amicizia, il rapporto tra pari sono perfezioni che Dio deve avere ma che esigono un’alterità, alterità di natura divina. La Trinità è questo rapporto alla pari tra persone divine. Senza questo Dio non sarebbe perfetto. Lo Spirito è la forma che rende perfetto Dio perché gli fornisce quelle qualità di cui sarebbe carente. Quindi la forma che esprime l’essenza di Dio è lo Spirito perché somma di tutte le perfezioni. Ciò che definisce Dio è una persona divina.

Nel vangelo ci sono tre trinità. La prima Pietro, Giacomo e Giovanni. La seconda Mosé Gesù ed Elia e la terza il Padre il Figlio e la nube, lo Spirito  Santo.
La prima è quella dei discepoli nella fede, che imparano dal maestro Gesù.
La seconda è il Maestro Gesù con altri due maestri: Mosé maestro degli israeliti ed Elia maestro di Eliseo. Rappresentano la speranza. Gesù infatti sta già predicando e la predicazione attesta l'azione della fase della speranza.
Poi c'è la Trinità divina che rappresenta la carità.

Gesù porta i tre discepoli  da soli sul monte: i discepoli  rappresentano fede speranza e carità nella fede e la solitudine indica che sono escluse le virtù naturali: è un discorso prettamente religioso.
Lo splendore di Gesù indica il raggiungimento della perfetta purezza (bianchezza) e speranza (luce che si spande). Lo splendore dunque è una purezza attiva, che si muove verso i discepoli e unisce la purificazione della fede e l'azione della speranza. Mosé ed Elia non sono simboli ma persone vive che parlano con Gesù.
Pietro a questo punto propone la costruzione di tre capanne per i tre profeti. Pietro non sa quello che dice perché vorrebbe che la speranza obbedisse alle leggi della fede diventando statica quando al contrario la speranza è vita è movimento. Il motivo di coloro che ostacolano la predicazione e la vita nella religione è la paura. A questo punto una voce da cielo -il Padre- rivela l'identità di Gesù: lui è il Figlio. Gesù non è soltanto fede e speranza, ma anche carità, essendo l'amato. Questo è il senso della trasfigurazione: Gesù si rivela come Figlio e come carità.  E questa dimostra ulteriormente che Gesù è Dio: nessuno può essere nella fase della carità pur essendo ancora in quella della speranza, perché la prima si conquista dopo la seconda. A meno che non sia da sempre nella carità e quindi da sempre perfetto. 
I discepoli hanno il divieto di raccontare ciò che hanno visto perché solo la passione può spiegare il significato dell'amore di Dio, e la passione è giustificata dalla resurrezione. Era necessario che prima che si sapesse che Gesù è amore si mettesse anche la croce in questo amore. La croce è resa sensata dalla risurrezione e dunque solo dopo di questa i discepoli avrebbero potuto dire che Gesù è la carità.
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lunedì 13 febbraio 2012

Mc 8,11-13: Ascesi e libertà

Dal Vangelo secondo Marco


In quel tempo, vennero i farisei e si misero a discutere con Gesù, chiedendogli un segno dal cielo, per metterlo alla prova.
Ma egli sospirò profondamente e disse: «Perché questa generazione chiede un segno? In verità io vi dico: a questa generazione non sarà dato alcun segno».
Li lasciò, risalì sulla barca e partì per l’altra riva.


I farisei non ricevono nessun segno dal cielo. Coloro che credono di salvarsi attraverso una legge –rappresentati dai farisei- non ricevono segni da Dio. Dio dona liberamente, senza condizioni, vale a dire senza chiedere nulla in cambio. I farisei invece fanno strettamente corrispondere ad ogni pratica una ricompensa impedendo così l’azione della grazia. La grazia esige libertà e si oppone al calcolo. Tutti i fedeli, immaturi nella pratica della virtù, cominciano l’ascesi con una certa dose di calcolo nelle loro azioni perché questo permette l’inizio della pratica religiosa e rafforza il credente nella volontà e nell’impegno. Inoltre permette l’accumulo di quei beni che le devozioni promettono. Col completamento della purificazione della fede e il passaggio alla speranza la religione si volge all’azione e quindi si semplifica; al calcolo delle devozioni e al rispetto dei precetti si sostituisce una spontaneità nella pratica della virtù che porta il fedele ad agire in maniera efficace per il vangelo. I farisei non ricevono segni dal cielo perché li chiedono per scetticismo, perché non credono in Gesù. Lo vogliono infatti mettere alla prova. Il fine della fede è la purezza, peccare col chiedere un segno per aumentare la propria fede è contraddittorio.

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venerdì 27 gennaio 2012

Commento a Giacomo

Giacomo 2:12 Parlate e agite come persone che devono essere giudicate secondo una legge di libertà, perché
Giacomo 2:13 il giudizio sarà senza misericordia contro chi non avrà usato misericordia; la misericordia invece ha sempre la meglio nel giudizio.
Chi deve essere giudicato secondo una legge di libertà è giudicato sulla fede e sulla speranza. Sulla fede, perché i precetti che acquisiti nella fase della fede si ritrovano nella speranza e se nel buio della fede non ho appreso il vangelo -o addirittura l’ho negato- nella speranza si vedranno le conseguenze. Sulla speranza, perché chi rifiuta di far fruttare i propri talenti opponendosi alla spontaneità della fede (la legge di libertà) sarà uguale a quello che nella parabola evangelica li sotterra. La verità del vangelo, appresa nella fede e messa in pratica nella speranza, è l’amore di Dio che si concretizza nelle opere di misericordia.
La misericordia ha la meglio nel giudizio perché non è né la fede né la speranza il grado ultimo di santità, ma la carità, che è la più importante tra le tre virtù. L’Apostolo ci ricorda che la legge di libertà nasce dal precetto dell’amore del prossimo che si scopre alla fine del percorso di fede. L’anima che ha trovato la verità ha trovato la direzione dell’azione, e siccome ora è pura i suoi sforzi si dirigono all’esterno secondo una dinamica interiore data da quanto ha appreso in precedenza. Se nella fede ogni atto di culto doveva essere singolarmente perfetto attraverso un atto di volontà puntuale, nella speranza è il dinamismo generale che conta, non è più la realizzazione corretta o scorretta dell’atto ma l’importante è l’acquisizione della virtù, il cui processo è esteso e articolato.
Nella fede ogni azione deve essere singolarmente buona e ciò viene di norma verificato immediatamente; in questa fase si è già creata una predisposizione permanente ai precetti evangelici e l’azione tende spontaneamente a conformarsi a questa. L’azione morale è inserita in un continuo esistenziale che nella fede era stato sospeso a motivo delle pratiche ascetiche tipiche di quella fase. L’attenzione ora verte su indecisioni, debolezze, falsi scrupoli, mancanza di forza nell’azione, rachitismo spirituale, storture caratteriali e peccati residuali. Non è più così importante il cadere nel peccato, ma il riuscire nell’azione virtuosa, e ciò perdona anche gli insuccessi e gli errori –se il peccato non è mortale-. Il giudizio quindi in questa fase si nutre di misericordia perché non viene imputato ogni peccato ma tutto è in vista del progresso nella virtù. Questo non vuol dire che il fine giustifica i mezzi, ma che il Signore usa pazienza verso coloro la cercano.
La misericordia ha la meglio “nel giudizio” e non “sul giudizio” perché la misericordia non cancella il giudizio ma lo realizza, permettendo al credente di raggiungere la completezza morale in vista della speranza.
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sabato 21 gennaio 2012

Commento a Giacomo

Giacomo 2:6 Voi invece avete disprezzato il povero! Non sono forse i ricchi che vi tiranneggiano e vi trascinano davanti ai tribunali?
Giacomo 2:7 Non sono essi che bestemmiano il bel nome che è stato invocato sopra di voi?
L’uomo senza Dio al contrario non obbedisce a nessuna legge e quindi ritiene il diritto un’arma da usare contro i suoi avversari; il suo ambiente naturale è il tribunale dove si diverte a pervertire la legge a suo favore. Anzi ogni situazione diventa con lui tribunale in cui si processano gli indifesi. Essi bestemmiano Dio perché non ottengono quello che desiderano non potendolo ottenere, essendo il loro appetito insaziabile.
Giacomo 2:8 Certo, se adempite il più importante dei comandamenti secondo la Scrittura: amerai il prossimo tuo come te stesso, fate bene;
Qui l’Apostolo mette in guardia da un grave errore: l’amore immaturo. La carità, che è il vero amore, si raggiunge dopo la fede e la speranza e le corona. Prima di ciò l’amore è presente ma è adeguato al livello di santità a cui uno è giunto. Nella fede l’amore è amore della verità e della volontà di Dio; nella speranza l’amore è amore di giustizia e di libertà fino all’amore delle anime; nella carità si ama Dio e le anime sopra ogni cosa. Ora nella Scrittura sono presenti tutti gli insegnamenti che occorrono al cristiano e tutti vanno realizzati in ciascuna fase. Nella fede si apprendono come oggetto di fede e si mettono in pratica per purificarsi mentre nella speranza caratterizzano l’azione. Dunque anche i comandamenti attinenti alla carità, formalmente più elevati, vengono praticati anche nella fede e nella speranza.
“Amerai il prossimo tuo come te stesso” e non “amerai Dio con tutto il tuo cuore” innanzitutto perché in senso assoluto il prossimo è Gesù, come ci insegna la parabola del Samaritano, e dunque non c’è contrasto tra i due precetti dal momento che è sempre Dio che si ama per primo. In secondo luogo “Amerai il prossimo tuo come te stesso” è precetto della speranza, poiché rivolto alle anime, che sono il fine a cui si rivolge l’azione in questa fase.
Giacomo 2:9 ma se fate distinzione di persone, commettete un peccato e siete accusati dalla legge come trasgressori.
Il precetto della carità –che riassume tutti gli altri- può essere corrotto dalla mancanza di giustizia nell’ambito dei rapporti tra persone, l’ambito in cui conclude la pratica delle virtù, essendo nella speranza, a differenza della fede, i rapporti interpersonali luogo della pratica della virtù, dal momento che attorno alle persone si organizza il reale. L’Apostolo accusa di fare favoritismi e ciò si ha quando si trattano persone uguali con misure diverse.
Giacomo 2:10 Poiché chiunque osservi tutta la legge, ma la trasgredisca anche in un punto solo, diventa colpevole di tutto;
Giacomo 2:11 infatti colui che ha detto: Non commettere adulterio, ha detto anche: Non uccidere.
Ora se tu non commetti adulterio, ma uccidi, ti rendi trasgressore della legge.
La ragione per cui chi trasgredisce un solo precetto è colpevole di tutto è di ordine genetico: tutti i precetti hanno la medesima origine –Dio- e chi viola i precetti offende Dio. L’offesa poi è uguale sia che se ne violi uno o molti, perché l’offesa ad un essere infinito è una colpa infinita che merita una pena infinita. Per questo non è scritto “diventa colpevole di tutti i precetti” ma “diventa colpevole di tutto”: il tutto indica l’infinità della colpa. La legge di libertà, la ripetizione spontanea di azioni buone non può quindi sopprimere la legge in favore della libertà. Non solo perché “la verità –essenza della legge- vi farà liberi” ma perché la libertà senza legge scade in favoritismo, il quale giungerà fino all’adorazione di un uomo come dio. Oltre a questo si può anche intendere in questo modo: chi trasgredisce i comandamenti della speranza è colpevole di tutto, anche della trasgressione della fede, poiché colui che ha ordinato di non commettere adulterio, cioè di non adorare gli idoli, dimenticando la propria fede, ha anche detto non uccidere, il corpo e l’anima delle persone, ma di farle vivere, secondo la parabola del servo infido. Offendere Dio facendo del male ai suoi figli contiene anche l’offesa della fede, poiché essa consiste nel non credere nella sua esistenza e nei suoi attributi, e chi lo offende non reputa che esista o che sia onnipotente o sommo amore.
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mercoledì 18 gennaio 2012

Mc 3,1-6: Tendi la mano

Dal Vangelo secondo Marco


In quel tempo, Gesù entrò di nuovo nella sinagoga. Vi era lì un uomo che aveva una mano paralizzata, e stavano a vedere se lo guariva in giorno di sabato, per accusarlo.
Egli disse all’uomo che aveva la mano paralizzata: «Àlzati, vieni qui in mezzo!». Poi domandò loro: «È lecito in giorno di sabato fare del bene o fare del male, salvare una vita o ucciderla?». Ma essi tacevano. E guardandoli tutt’intorno con indignazione, rattristato per la durezza dei loro cuori, disse all’uomo: «Tendi la mano!». Egli la tese e la sua mano fu guarita.
E i farisei uscirono subito con gli erodiani e tennero consiglio contro di lui per farlo morire.

In questo vangelo si condanna la durezza del cuore. L'adempimento della legge è un dovere che serve a realizzare il bene umano previsto dalla legge, ad esempio "non rubare" è un precetto che garantisce il godere dei frutti del proprio lavoro. Così come il fine di tutte le leggi naturali è il mantenimento e miglioramento della vita umana, allo stesso modo il fine della legge d'Israele era il mantenimento e la purificazione della fede in Dio, che comportava la pratica della virtù. Tuttavia ogni adempimento di un singolo precetto comporta un merito e in nome di di questo merito si perdeva di vista il contenuto ultimo della fede, l'amore di Dio per tutti gli israeliti. Gesù si rattrista per la malizia dei farisei prima e per la loro ipocrisia dopo, perché sanno che salvare una vita è più importante che rispettare il sabato, ma sanno anche che la loro scuola e il loro potere si basano sull'adempimento letterale della legge. Per mantenere il loro potere sarebbero disposti a sacrificare la vita di un uomo. Per questo motivo alla fine Caifa raccoglierà anche i loro consensi.

Questo vangelo è la base giuridica con cui si può valutare il nostro approccio alle apparizioni mariane. Il magistero impone di credere solo alla rivelazione biblica e non alle rivelazioni private. Ciò è giusto perché l'essenza della religione cattolica è Cristo e solamente in Lui c'è tutto ciò di cui abbiamo bisogno per salvare la nostra anima e giungere alla santità. Tuttavia non bisogna mai dimenticarsi che la distinzione tra rivelazione biblica e privata è una distinzione di diritto, una legge che serve anche come base giuridica per poi vagliare i casi successivi. Nella realtà il Cristo che è risorto e quello delle apparizioni private (vere) è lo stesso, quello che Egli chiede nei Vangeli è lo stesso -nella forma- che chiede nelle apparizioni private, tuttavia attualizzato per quel momento storico. I Vangeli contengono storie di molte persone e luoghi che fungono da modelli universali per la Chiesa, ma non bisogna mai dimenticarsi che quelle persone e luoghi prima di essere modelli sono state cose reali, la quali sono già state giudicate e salvate, e adesso è il nostro turno. Il cieco nato è già stato guarito, ora tocca ad un altro di noi; la samaritana è già stata convertita, è l'ora delle nostre. Ciò vuol dire che la rivelazione biblica non è più primaria, o che non è più necessario il Padre nostro? No, vuol dire solamente che le persone sono più importanti delle regole, e che il fine della Chiesa è salvare le anime delle persone che le sono date in ciascuna epoca, niente di più. Se l'apparizione privata è in accordo con la rivelazione primaria e i testimoni sono credibili, si chieda con rispetto una conferma e poi si faccia quello che l'apparizione prescrive. E si faccia subito, immediatamente, senza perdere tempo, perché quello e solo quello è la volontà di Dio per quel momento. Se la Vergine chiede la consacrazione di un paese al suo Cuore Immacolato si faccia e basta, senza vergogne o finti ritardi. Questo è il dovere dei vescovi, essi che hanno come compito di pascere il gregge della Chiesa. Qui la direzione che i fedeli devono prendere è dettata direttamente dal cielo, senza possibilità di errore umano, bisogna solo avere fede. Al contrario ritenere tutto ciò superstizione non fa niente altro che attirare su di sé l'ira divina -rivelazione biblica-. La nostra durezza di cuore consiste innanzitutto nella malizia farisaica, cioè nel non voler avere a che fare con persone reali ma con leggi scritte, molto meno esigenti e soprattutto non vive. Anche la Scrittura può indicarci ciò che bisogna fare in un preciso momento -si pensi al "Tolle lege" o alla storia di Antonio-, ma un'apparizione di Cristo o di Maria indica una dimensione pubblica -globale- del problema. Infatti una rivelazione privata per tipologia può benissimo essere pubblica dal punto di vista della visibilità, basti pensare a Lourdes o Fatima. Ignorare le apparizioni è un atto gravissimo che condanna la Chiesa alla paralisi, dal momento che non è in grado da sola di trovare il rimedio indicato dall'apparizione. La durezza di cuore deriva dal ridurre la religione al trinomio "Sacra Scrittura" "Interpretazione" "Applicazione", senza tener conto di Cristo e dei fratelli. La durezza di cuore è il rifiuto della presenza di Cristo e porta alla lunga al rifiuto della presenza reale di Cristo nell'Eucarestia. 
Ed è per questo che le apparizioni sono sempre accompagnate da miracoli: è Cristo che dice "Tendi la mano!" a uno dei presenti per condannare la durezza di cuore di tutti gli altri.
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venerdì 13 gennaio 2012

Commento a Giacomo

Giacomo 2:1 Fratelli miei, non mescolate a favoritismi personali la vostra fede nel Signore nostro Gesù Cristo, Signore della gloria.
Qui si delineano meglio gli attributi di questa purezza e di questo aiuto.
La fede riguarda l’esistenza e gli attributi di Dio, la speranza l’azione di Dio tra gli uomini, la provvidenza. La fede, che è causa della speranza, non svanisce al sorgere della speranza stessa poiché la fede è un tipo di causa che sostiene in essere il suo effetto. La fede per generare la speranza non usa forme o materie preesistenti ma solamente l’oggetto suo proprio, Dio e i suoi attributi. La fede attraverso la discrezione –che si basa sulla conoscenza di Dio- è causa della purificazione e questa permette al credente di acquisire i beni spirituali attraverso l’azione, e quindi la pazienza la virtù la speranza. Tutto il processo di purificazione fino all’azione ha come causa formale la conoscenza di Dio. Tolta questa sarebbe tolta la fede, poi la discrezione e di conseguenza si perderebbe la purità e il credente ottunderebbe la sua anima con nuovi peccati. La purezza non è indipendente dalla conoscenza di Dio poiché quest’ultima è di origine soprannaturale. Essa è esterna a tutto ciò che è naturale ed è da esso indipendente. Il naturale è nel soprannaturale come qualcosa di accidentale, esso lo accompagna ma non entra nella sua essenza. Questa separazione tra naturale e soprannaturale fa si che la fede non si basi su entrambi ma solo sulla grazia di una rivelazione. La rivelazione, l’oggetto di fede, è causa formale unica della purezza e quindi della speranza che ne è conseguenza. Da ciò si vede come la purezza di cui parla l’Apostolo è la stessa che si ottiene nella fede e che permane nella speranza.
Giacomo 2:2 Supponiamo che entri in una vostra adunanza qualcuno con un anello d'oro al dito, vestito splendidamente, ed entri anche un povero con un vestito logoro.
Giacomo 2:3 Se voi guardate a colui che è vestito splendidamente e gli dite: «Tu siediti qui comodamente», e al povero dite: «Tu mettiti in piedi lì», oppure: «Siediti qui ai piedi del mio sgabello»,
Giacomo 2:4 non fate in voi stessi preferenze e non siete giudici dai giudizi perversi?
La fede –è stato detto altrove- porta alla verità e questa al diritto. Figura dell’uomo di fede è il re, perché simbolo del diritto. L’aderenza al diritto produce giustizia; diritto e giustizia sono quindi forma della speranza. L’azione del candidato alla beatitudine deve essere giusta e procedere dal diritto e dalla verità.
Giacomo 2:5 Ascoltate, fratelli miei carissimi: Dio non ha forse scelto i poveri nel mondo per farli ricchi con la fede ed eredi del regno che ha promesso a quelli che lo amano?
La fede comporta il diritto e questo la sovranità perché per obbedire ad una legge è necessario non essere legati a voleri di uomini, dal momento che questi mescolerebbero alla legge i loro arbitrii. L’uomo di fede dunque è obbediente a Dio e alla sua legge in forza del diritto (e non della violenza) e libero di fronte a tutti gli uomini. L’uomo di fede è sovrano e al sovrano si addicono le ricchezze, i beni eterni che vince in virtù dei suoi sforzi e della sua pazienza.
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mercoledì 11 gennaio 2012

Commento a Giacomo

Giacomo 1:22 Siate di quelli che mettono in pratica la parola e non soltanto ascoltatori, illudendo voi stessi.
Giacomo 1:23 Perché se uno ascolta soltanto e non mette in pratica la parola, somiglia a un uomo che osserva il proprio volto in uno specchio:
Giacomo 1:24 appena s'è osservato, se ne va, e subito dimentica com'era.
Giacomo 1:25 Chi invece fissa lo sguardo sulla legge perfetta, la legge della libertà, e le resta fedele, non come un ascoltatore smemorato ma come uno che la mette in pratica, questi troverà la sua felicità nel praticarla.
La speranza necessità di azione e di pratica e queste due cose producono la virtù, che fissa il bene nel soggetto. Se l’azione non creasse un’abitudine non si compirebbe il bene in maniera costante e non si avrebbe progresso nella santità. Questa pratica è una legge di libertà perché è una ripetizione costante e obbligata di un atto libero, il compimento dell’azione buona. Il credente compie azioni di grazia e il ripetersi di questo genera un fenomeno nuovo, la creazione di una virtù. Essa è perfetta rispetto alla forma perché unisce due contrari (libertà e necessità) e rispetto al fine perché inerisce ad un fine ultimo (la felicità). Inoltre se nella fede si esige uno sforzo continuo nel mettere in pratica il precetto, qui i precetti sono già fatti propri ed essi devono solo essere lasciati crescere, come una pianta che spunta dal terreno e si sviluppa. Questo perché nella speranza si torna a coltivare la vita che nella fede si era soppressa, ora purificata dall’ascesi.
La pratica della virtù non è un duro sforzo per modificare se stessi ma un lasciar emergere i precetti e la forza fatti propri nella fase della fede. È un processo spontaneo per cui il credente viene portato a produrre certi atti in vece che altri. Non si tratta dunque principalmente di una libertà di scelta, tipica della fede ma di un’assenza di impedimento.
La legge di libertà è questa spontaneità vitale libera dalle costrizioni esterne ma soggiacente ad una legge interna di sviluppo che la porta verso la carità.
Giacomo 1:26 Se qualcuno pensa di essere religioso, ma non frena la lingua e inganna così il suo cuore, la sua religione è vana.
Qui l’Apostolo presenta una quarta passione peccaminosa: la lingua. Essa inganna il cuore perché fa credere al cristiano che quello che la lingua dice corrisponda a ciò che è vero (il cui luogo è il cuore). Essa gli fa inoltre credere di essere buono solo perché lo afferma a gran voce. Essendo la religione giustizia rispetto a Dio e basandosi la giustizia sulla verità, un culto che si basi su premesse false genera atti inutili, dal momento che Dio non può accogliere nulla di falso. La spontaneità non può nemmeno consistere in un “lasciare andare” la lingua eliminando l’elemento razionale guadagnato nella fede.
Giacomo 1:27 Una religione pura e senza macchia davanti a Dio nostro Padre è questa: soccorrere gli orfani e le vedove nelle loro afflizioni e conservarsi puri da questo mondo.
Una religione perfetta nella fase della speranza consiste nel soccorrere gli orfani e le vedove. Essi, avendo perso il padre e lo sposo, rappresentano coloro che hanno perso il Padre e lo Sposo. Quindi l’azione di chi pratica la speranza è portare Dio a coloro che lo hanno perso, come faceva Gesù. A questo l’Apostolo aggiunge il non contaminarsi con quanto il mondo propone di impuro, per non scambiare il vivere la vita con la pratica della lussuria, come afferma S. Paolo.
Ira, lussuria, accidia e lingua trovano il loro contrario nella purezza e nell’aiuto verso il prossimo.
La religione quindi è giustizia quando fa esattamente quanto è necessario al suo stato, in questo caso ottiene il massimo dell’efficacia e della ricompensa divina.

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martedì 10 gennaio 2012

Mc 1,21-28: Taci! Esci da lui!

Dal Vangelo secondo Marco

In quel tempo, Gesù, entrato di sabato nella sinagoga, [a Cafarnao,] insegnava. Ed erano stupiti del suo insegnamento: egli infatti insegnava loro come uno che ha autorità, e non come gli scribi.
Ed ecco, nella loro sinagoga vi era un uomo posseduto da uno spirito impuro e cominciò a gridare, dicendo: «Che vuoi da noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci? Io so chi tu sei: il santo di Dio!». E Gesù gli ordinò severamente: «Taci! Esci da lui!». E lo spirito impuro, straziandolo e gridando forte, uscì da lui. 
Tutti furono presi da timore, tanto che si chiedevano a vicenda: «Che è mai questo? Un insegnamento nuovo, dato con autorità. Comanda persino agli spiriti impuri e gli obbediscono!». 
La sua fama si diffuse subito dovunque, in tutta la regione della Galilea.

La storia narrata dai vangeli fino alle tentazioni nel deserto appartiene al periodo della fede nel credente. Successivamente, con la predicazione di Gesù, si apre il periodo della speranza.
Gesù predica a Cafarno, il cui significato sembra essere "città di Naum". Naum è il profeta del giorno del giudizio e della salvezza che ne segue. Gesù comincia la sua predicazione nel giorno sacro, in una città profetica e apocalittica. L'insegnamento di Gesù è autorevole, cioè dotato di quella forza che emana dalla verità e dal ruolo. La verità è stata ottenuta nella tentazione del deserto, in cui il credente viene provato dal demonio che tenta di farlo apostatare o desistere. La verità poi partorisce il diritto e questo la sovranità. Il ruolo riconosciuto dal popolo è questo: la sovranità di chi ha fatto propria la verità. Al contrario gli scribi non ottengono il loro potere dal diritto, ma dai diritti coagulati nelle prescrizioni. Persa l'origine (la verità) la legge si blocca nelle sue espressioni contingenti. Del diritto rimane solo la forma, compromessa mille volte dagli interessi di parte. 
La sinagoga rappresenta il luogo dei legalismi religiosi, il cuore formato ai precetti di scribi, cuore che possiede il cristiano prima dell'inizio della sua ascesi. Lo spirito che Cristo trova nella sinagoga è un demone impuro. Che rappresenta l'impurità in generale e specialmente l'impurità di fede, le dottrine nefaste che si accumulano nel cuore dell'uomo. 
Nella fede il credente si purifica attraverso la conoscenza di Dio e dal momento che comincia il suo ministero profetico è in grado di smascherare gli inganni relativi a questa virtù. Gesù è chiamato dal demone "Gesù di Nazareth" ma il significato preciso di ciò ci sfugge. I demoni, che hanno combattuto contro di lui, conoscono la sua identità e lo chiamano "il santo di Dio". Dio significa il Padre e al Padre si può associare la fede, come al Figlio la speranza e allo Spirito la carità. Quindi "santo della fede" o "santo del Dio della fede", trovato dal credente nella purificazione. Questa distinzione non ha valore ontologico (come se la fede riguardasse solo il Padre e la speranza solo il Figlio) ma esegetico: ovvero dal momento che esistono tre virtù teologali e si conquistano una dopo l'altra; ed esiste una rivelazione della Trinità in cui le Persone si sono rivelate una dopo l'altra; allora possiamo porre un'analogia tra le due serie ed essa sarà confermata se spiegherà tutti gli elementi della rivelazione evangelica. Ora qui le parole "Santo di Dio" sono spiegate e connesse bene perché qui Dio non può significare né il Verbo né lo Spirito né la Trinità, non ancora rivelati; e dunque solo il Padre e dunque la fede. E ciò è coerente con tutto ciò che è stato scritto. Se avessimo trovato "Santo dello Spirito Santo" non sarebbe andato bene perché qui la carità non c'entra.

Il credente che ha conquistato la fede può sanare il suo prossimo solo relativamente alla purificazione che lui stesso ha intrapreso, è in grado di far diventare chi guarisce simile a lui attraverso una purificazione. L'indemoniato è straziato perché la fede è stata conquistata nel dolore e nelle privazioni e le stesse devono essere compiute da coloro che ascoltano la predicazione. Tutti sono presi dal timore perché "il timore è l'inizio della sapienza" e questa si acquisisce -come già detto- nella fede; si "chiedono a vicenda" poiché non hanno ancora acquistato l'indipendenza che dà la fede. Lo stupore del popolo è ben comprensibile: un insegnamento dato con autorità -confermata dall'efficacia- presuppone che vi sia un'autorità e che questa sia conosciuta e riconosciuta; un comandamento nuovo indica che l'autorità ha cambiato qualche suo criterio o valore ha monte, e ciò significa che la verità che fonda l'autorità ha subito un mutamento. Ma è possibile che Dio muti? No, la risposta è la stessa nuova rivelazione del Figlio di Dio incarnato per l'uomo. Ma il popolo non capisce perché non ha ancora raggiunto la fede e quindi né conosce la volontà di Dio né sa leggere i segni soprannaturali, in questo caso l'affermazione del demone. Questo obbedisce perché l'obbedienza è direttamente opposta all'impurità. I tre precetti obbedienza povertà e castità sono legati alle tre virtù teologali in vari modi. La fede e l'ubbidienza nello specifico hanno una definizione simile: la prima è "adeguamento all'invisibile", la seconda "adeguamento a una volontà altrui". Il genere è lo stesso (adeguamento) e ciò significa che appartengono alla stessa famiglia. Dunque Gesù e il credente in nome della fede possono esercitare ed ottenere obbedienza.
La fama di Gesù si spande ovunque perché Egli soddisfa il bisogno profondo di verità e di azione che hanno gli uomini.
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lunedì 9 gennaio 2012

Mc 1,14-20: Andarono dietro a lui

Dal Vangelo secondo Marco

Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea, proclamando il vangelo di Dio, e diceva: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo».
Passando lungo il mare di Galilea, vide Simone e Andrea, fratello di Simone, mentre gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. Gesù disse loro: «Venite dietro a me, vi farò diventare pescatori di uomini». E subito lasciarono le reti e lo seguirono.
Andando un poco oltre, vide Giacomo, figlio di Zebedeo, e Giovanni suo fratello, mentre anch’essi nella barca riparavano le reti. Subito li chiamò. Ed essi lasciarono il loro padre Zebedeo nella barca con i garzoni e andarono dietro a lui.



I primi chiamati sono Pietro (la fede soprannaturale) e Andrea (la fede naturale), poi Giacomo (la speranza) e Giovanni (la carità). I primi fratelli rappresentano le due virtù intellettive della fede; i secondi fratelli le due virtù operative. La fede naturale e soprannaturale svolgevano fino ad allora (la religione israelita) lo stesso mestiere, procurare beni materiali; dora in poi procureranno anime al Signore. Andando oltre nel percorso di fede si incontrano la speranza e l'amore al servizio di questa religione materiale. Forniscono gli strumenti ideologici affinché la fede religiosa perseveri. Queste lasciano Zebedeo e seguono Gesù. Zebedeo vuol dire "servitore di Dio" e può intendersi come il popolo ebraico, rispetto al lato storico; il peccato, nel senso che Dio lo usava per ricavarne un bene maggiore ma che ora va abbandonato; il desiderio, padre e della speranza e dell'amore, che adesso va abbandonato e sostituito con la volontà di Cristo.

Qui si nota il primato di Pietro rispetto agli altri Apostoli. Un'unione tra Chiesa Cattolica e Ortodossa è raccomandata, il Papa ha diritto al comando ma dovrebbe lasciare la massima autonomia possibile ai Patriarchi, egli interverrebbe nelle questioni solo se i Patriarchi si rivolgessero direttamente a lui. Per i Dogmi veri che la Chiesa Ortodossa non riconosce ci si appellerebbe alla "ricezione dilatata": il Papa lascerebbe che la grazia del Signore introduca i dogmi spontaneamente nella Chiesa senza sforzare o costringere. Gli ortodossi non respingerebbero i dogmi, ma li starebbero ricevendo. Dall'altra parte li starebbero valutando. La grazia di Dio può tutto e unisce agevolmente due Chiese che riconoscono le reciproche santità. 
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domenica 8 gennaio 2012

Mc 1,7-11: Come una colomba

Dal Vangelo secondo Marco

In quel tempo, Giovanni proclamava: «Viene dopo di me colui che è più forte di me: io non sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali. Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo».
Ed ecco, in quei giorni, Gesù venne da Nàzaret di Galilea e fu battezzato nel Giordano da Giovanni. E, subito, uscendo dall’acqua, vide squarciarsi i cieli e lo Spirito discendere verso di lui come una colomba. E venne una voce dal cielo: «Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento».

Nel battesimo Dio dona una vita nuova al credente. Dona quei tre semi -fede speranza carità- che devono essere coltivati per giungere alla santità. Dicono che al termine della carità, quando Dio toglie tutto quello che ha dato precedentemente, rimangano solamente tre bricioli delle tre virtù teologali. Questi pesano come i tre semi posti nel battesimo e gli corrispondono secondo le parole "Io sono l'alfa e l'omega". Infatti ciò che è all'inizio è anche alla fine, diverso nella forma ma uguale nella sostanza.
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Commento a Giacomo

Giacomo 1:16 Non andate fuori strada, fratelli miei carissimi;
Giacomo 1:17 ogni buon regalo e ogni dono perfetto viene dall'alto e discende dal Padre della luce, nel quale non c'è variazione né ombra di cambiamento.
La brama terrena origina dalla materia, dal basso; la grazia viene da Dio, che è spirito. La materia è sensibile e opaca all’intelletto, alla volontà e all’amore; Dio è pura trasparenza, luce. E questa grazia che fa fiorire la speranza è vita ed è luce, poiché “la luce era la vita degli uomini”. Quindi il Padre della vita è anche il Padre della luce e questa metafisica della vita è anche una metafisica della luce. La brama infine è scostante e si concentra su capricci, la grazia è simile alla sua origine, una ed eterna. Si capisce quindi che la vita a cui aspira questa speranza sarà “senza variazione né ombra di cambiamento”, cioè eterna.
Giacomo 1:18 Di sua volontà egli ci ha generati con una parola di verità, perché noi fossimo come una primizia delle sue creature.
Nel credente la chiamata alla fede è un atto libero di Dio. Questa chiamata alla fede è una chiamata alla verità, perché la fede ha come oggetto specifico la verità.
Giacomo 1:19 Lo sapete, fratelli miei carissimi: sia ognuno pronto ad ascoltare, lento a parlare, lento all'ira.
Ora la virtù della speranza si ottiene rimanendo fedeli a quanto ottenuto con la virtù della fede poiché la seconda è preliminare alla prima. Quindi il dominio di sé è fondamentale a questo scopo, dal momento che controllare le passioni è stato necessario per purificarle dalla malizia.
Giacomo 1:20 Perché l'ira dell'uomo non compie ciò che è giusto davanti a Dio.
Giacomo 1:21 Perciò, deposta ogni impurità e ogni resto di malizia, accogliete con docilità la parola che è stata seminata in voi e che può salvare le vostre anime.
Tra tutte le passioni le più pericolose sono l’ira, che è l’odio violento verso l’esterno e l’impurità, che è l’abuso della sessualità. Queste sono tipiche passioni che nascono dall’incontro con la realtà esterna (e quindi non purificate dalla fede) e viziano l’azione del soggetto. La parola seminata nella fede, dopo aver vinto la durezza del terreno, è nata e ora va accudita. Se nella fede il credente lavorava per scavare in se stesso e fa posto alla parola di Dio, qui al contrario non bisogna farsi violenza ma farla crescere con dolcezza, combattendo piuttosto le minacce che provengono dall’esterno. Per questo motivo Gesù fece penitenza solo fino ai quaranta giorni nel deserto: perché prima mostrava agli uomini come coltivare la fede e poi mostrava come accudire la speranza. Il vino nuovo della parabola è la speranza che sostituisce il vino vecchio della fede. La parola può salvare le nostre anime quando essa genera la fede, allora il cristiano è salvo. Il completamento della speranza porterà ad un grado di santità maggiore, la beatitudine. “Resto di malizia” sono le passioni non ancora purificate.



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