venerdì 23 marzo 2012

Commento a Giacomo

Giacomo 2:14 Che giova, fratelli miei, se uno dice di avere la fede ma non ha le opere? Forse che quella fede può salvarlo?
Con le opere l’Apostolo intende il risultato di un’azione religiosa. Son le azioni che si praticano nella speranza, come accennato sopra, e quindi qui si tratta dei rapporti tra fede e speranza.
Giacomo 2:15 Se un fratello o una sorella sono senza vestiti e sprovvisti del cibo quotidiano
Giacomo 2:16 e uno di voi dice loro: «Andatevene in pace, riscaldatevi e saziatevi», ma non date loro il necessario per il corpo, che giova?
Al povero non basta la consolazione spirituale ma serve il sostegno materiale, perché la sua indigenza è materiale e non spirituale. L’esempio illustra due errori. Il primo è il fraintendimento tra spirituale e materiale; il secondo è l’ipocrisia di chi utilizza lo spirituale per evitare lo sforzo materiale.
Giacomo 2:17 Così anche la fede: se non ha le opere, è morta in se stessa.
Il primo caso, applicato ai rapporti tra fede e speranza, denuncia l’errore di chi, ormai purificato nella fede, si ostina a compiere atti tipici della fase che ha già passato. La purificazione a oltranza, che scava nell’anima fino a ferirla, quando non c’è né più bisogno; la ricerca senza posa di significati occulti quando si è già raggiunta la verità; l’azione reale confusa con quella mentale sono alcuni degli errori che il fedele può compiere.
Il secondo caso smaschera le intenzioni di chi non ha voglia di faticare per il prossimo e quindi fa compiere il suo dovere alle chiacchiere.
Giacomo 2:18 Al contrario uno potrebbe dire: Tu hai la fede ed io ho le opere; mostrami la tua fede senza le opere, ed io con le mie opere ti mostrerò la mia fede.
L’Apostolo è ironico, “mostrare la fede senza le opere” è impossibile perché la fede non è nell’ordine del concreto. Qui egli si rifà al versetto “non tutti quelli che diranno “Signore Signore”, entreranno nel regno dei cieli”. Le opere poi si possono mostrare perché sono concrete e da esse si può evincere il fine per cui sono state fatte, appunto la fede.
Oltre a ciò si legge anche così.
Non è possibile mostrare “la fede senza le opere” perché la fede è di ordine spirituale, e quindi invisibile. Tuttavia non basta un culto solamente spirituale perché è necessario mostrare dei risultati concreti. Se è scritto “adorerete in spirito e verità”, indicando la necessità della fede spirituale, è anche scritto che alla fine dei tempi saremo giudicati sulle opere di misericordia, concrete, come dice Gesù nel Vangelo.

Giacomo 2:19 Tu credi che c'è un Dio solo? Fai bene; anche i demòni lo credono e tremano!
La fede porta alla verità e la verità porta alla purezza. I demoni hanno visto Dio e quindi posseggono la verità, tuttavia sono impuri. Questo perché non hanno la carità, l’amore di Dio: sanno chi è Dio eppure lo odiano. Per quanto riguarda la speranza i puri spiriti non la coltivano. La speranza termina ad una certezza relativa ad un concreto, qualcosa presente qui ed ora, che per il cristiano la Provvidenza, Dio considerato come agente nella storia. Ma questi spiriti sono immateriali e atemporali, non hanno storia, quindi il qui ed ora per loro non vale. Se bastasse la conoscenza della verità per la salvezza dell’anima anche i demoni sarebbero salvi.
Giacomo 2:20 Ma vuoi sapere, o insensato, come la fede senza le opere è senza valore?
Giacomo 2:21 Abramo, nostro padre, non fu forse giustificato per le opere, quando offrì Isacco, suo figlio, sull'altare?
Giacomo 2:22 Vedi che la fede cooperava con le opere di lui, e che per le opere quella fede divenne perfetta
Giacomo 2:23 e si compì la Scrittura che dice: E Abramo ebbe fede in Dio e gli fu accreditato a giustizia, e fu chiamato amico di Dio.
Abramo è il patriarca della fede, così come Isacco quello della speranza e Giacobbe quello della carità. Abramo dovette fare corrispondere alla sua fede un gesto concreto, come prova che la sua fede era vera. La prova a cui fu sottoposto Abramo certificò la sua fede. Così la fase della speranza certifica quella della fede. Accade che tutto quello che è stato accumulato nell’anima durante l’apprendimento della verità venga messo in pratica successivamente e quindi realizzato in concreto. Come il seme piantato bagnato genera una pianta, così la parola piantata nell’anima mediante l’acqua della purificazione –e specialmente della confessione- si anima e germina una nuova vita. Nella purificazione si toglie il peccato e si pianta la verità, la quale crescerà nelle opere e nella virtù. La fede cooperava con le opere nel senso che la fede era la causa di quelle opere, perché per fede Abramo andò sul monte.
La fede divenne perfetta perché la fede produce opere, le virtù ed infine la speranza; fede e speranza poi rendono perfetto il credente perché dopo essersi purificato egli ha acquisito forza nelle prove: intelletto e volontà, passione e azione, essere e fare sono pronti, l’uomo è completo. Abramo è amico di Dio perché l’amico non può essere soltanto chi non fa del male ma soprattutto chi fa del bene, l’amico è colui che ha sopportato insieme delle prove. La prova qui è la crocefissione di Gesù, che Abramo condivise in figura col Padre.

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domenica 4 marzo 2012

Mc 9,2-10: Questi è il Figlio mio, l’amato.

Dal Vangelo secondo Marco


In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse su un alto monte, in disparte, loro soli.
Fu trasfigurato davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche. E apparve loro Elia con Mosè e conversavano con Gesù. Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Rabbì, è bello per noi essere qui; facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Non sapeva infatti che cosa dire, perché erano spaventati. Venne una nube che li coprì con la sua ombra e dalla nube uscì una voce: «Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!». E improvvisamente, guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo, con loro.
Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare ad alcuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risorto dai morti. Ed essi tennero fra loro la cosa, chiedendosi che cosa volesse dire risorgere dai morti.

Nella Somma teologica Tommaso dimostra la processione dello Spirito Santo dal Padre e dal Figlio.
Le persone divine si distinguono non per la loro essenza ma per le loro relazioni, queste devono essere relazioni contrapposte e quindi d’origine.
Nell’economia trinitaria le relazioni tra le persone divine sono relazioni d’origine: le relazioni che legano Padre e Figlio e Padre e Spirito Santo non sono opposte tra loro perché se no, non essendo compossibili, risulterebbe o che le relazioni non esisterebbero o che le relazioni sono due e i termini primi delle stesse sono distinti, cioè esisterebbero due Padri. Al contrario le relazioni tra Padre e Figlio e tra Padre e Spirito non sono opposte e quindi possono coesistere avendo un termine in comune, la persona del Padre. Tuttavia ciò non garantisce che le relazioni non possano coincidere, con l’identità di Figlio e Spirito. Tale garanzia si ottiene con una relazione opposta, quindi distinguente, quindi d’origine tra le due persone divine. Questa è la relazione d’origine tra Figlio e Spirito.
Per persona si intende un centro sostanziale di atti spirituali di natura individua. È il centro spirituale che unifica gli atti della sostanza secondo criteri razionali e volitivi. Come è possibile che questo avvenga nella Trinità? Come spiegare che esistono tre centri unificatori spirituali nella sostanza Dio? Si deve dimostrare che tutte e tre le Persone compiono questa unificazione e che le tre unificazioni sono possibili contemporaneamente, che non si contrastano tra loro e che sono necessarie. Inoltre lo schema delle processioni (il Padre da nessuno, il Figlio dal Padre, lo Spirito dal Padre e dal Figlio) deve rimanere costante.

Processione è un termine più universale di causa. Causa indica origine e produzione, processione solo origine. Dicendo che il Padre genera il Figlio noi diciamo che il Figlio procede dal Padre e che è da lui “prodotto”, nel senso di azione che conduce a qualcosa. Generazione è il termine che il Vangelo utilizza per dire origine e “creazione divina”, diversa dalla creazione degli enti finiti. La generazione può essere assimilata ad una causalità efficiente, così come la processione dello Spirito. Il Figlio invece causa lo Spirito di causalità strumentale, lo Spirito procede attraverso il Figlio.
La seconda persona della Trinità è il Figlio e il Verbo, le parole sono prese dalla famiglia e dal processo intellettivo. Lo Spirito è la Vita, l’Anima e il Dono. L’anima è il principio di vita, quindi anima e vita sono assimilabili, e anche dono, perché la vita è il primo dono di Dio. L’anima poi è forma e quindi lo Spirito sarà causa formale, infine sarà bellezza perché “forma et pulchrum convertuntur”.

Il Padre è causa efficiente, è causa del Figlio e dello Spirito. Il Figlio è causa finale dell’azione del Padre, il Padre genera in vista del Figlio. Lo Spirito non è causa finale perché il Padre non vuole un Figlio per amare, ma genera un Figlio e quindi (attraverso di Lui) ama. Lo Spirito è causa formale. Rispetto al Padre perché la vita del Padre è la sua forma, rispetto al Figlio perché lo Spirito è la formazione del Figlio.
 Se nella generazione del Figlio è il Padre la persona che unifica la sostanza divina perché permette l’esistenza del Figlio e dello Spirito, anche dal punto di vista del Figlio si ha un dominio della sostanza. Così come nell’educazione dei bambini il bambino è il centro dell’educazione perché è il soggetto che apprende e gli adulti sono al suo servizio, così allo stesso modo nell’educazione del Figlio Padre e Spirito sono al suo servizio. Quella che dal punto di vista del Padre è una generazione da quello del Figlio è un apprendimento, il Padre è attirato dal Figlio è per lui fa ogni cosa, il Figlio è il motore immobile che fa fare al Padre l’atto divino di riempirlo di ciò che gli è proprio, la propria natura. Al che il Figlio non si limita a ricevere dal proprio educatore ma apprende, cioè si forma e la formazione del Figlio è lo Spirito Santo. Ecco perché sia il Figlio sia lo Spirito sono detti Sapienza: il primo perché Verbo, il secondo perché Forma. 
Per questo è lo Spirito che procede dal Figlio e non il contrario: perché l'azione attraverso il fine produce delle forme, il fine attraverso l'azione penetra nelle cose e ne modifica la forma. Ma non accade che un soggetto  produca dei fini attraverso delle forme. Un uomo attraverso un martello dona una forma al ferro, non un fine (privo di forma). Se l'uomo dell'esempio produce per un fine, mettiamo per divertimento, questo divertimento non scaturirà dall'azione del martello, ma sarà previo all'azione. Le forme in sé non generano fini.
Ciò che il Padre dona al Figlio attraverso il Figlio diventa Spirito all'interno del Figlio, il quale è nel Padre. In tutto il processo domina il Figlio, che domina come persona la sostanza divina. Anche nella formazione del Verbo ritroviamo un dominio. Lo sanno coloro che dedicano tutta la propria vita ad una idea, la quale trascende il soggetto e lo supera in importanza e regola la vita di coloro che gli si dedicano. Qui il Verbo domina, lo scopo a cui il Padre dedica la sua Vita è il suo Verbo.
Lo Spirito è causa formale suprema. Nel Figlio come sua formazione, nel Padre come sua anima. La forma è l’anima e l’anima può essere intesa come principio esteriore (Agostino: l’anima rete che tiene assieme ) o interiore (Tommaso: forma come principio di intelligibilità). L’anima è principio di vita e la vita si esprime attraverso il possesso, guidato dalla volontà a livello spirituale o dalla brama ai livelli più bassi. Per questo Agostino dice che lo Spirito è Amore, perché la vita è possesso, il possesso spirituale è la carità e dunque lo Spirito, essendo vita e spirito, è carità.
E bisogna stare attenti a dire che lo Spirito non è la Carità perché questa è comune a tutte tre le persone e quindi appartiene all’essenza di Dio. Primo perché l’essenza è ciò che si esprime nella definizione e nella definizione si esprimono forma e materia. Ora la seconda non è presente in Dio mentre forma è lo Spirito Santo come abbiamo visto, e ciò si può argomentare.
Dio è perfezione ma nella perfezione è compresa l’alterità personale, l’altro. La generazione di un figlio, l’amicizia, il rapporto tra pari sono perfezioni che Dio deve avere ma che esigono un’alterità, alterità di natura divina. La Trinità è questo rapporto alla pari tra persone divine. Senza questo Dio non sarebbe perfetto. Lo Spirito è la forma che rende perfetto Dio perché gli fornisce quelle qualità di cui sarebbe carente. Quindi la forma che esprime l’essenza di Dio è lo Spirito perché somma di tutte le perfezioni. Ciò che definisce Dio è una persona divina.

Nel vangelo ci sono tre trinità. La prima Pietro, Giacomo e Giovanni. La seconda Mosé Gesù ed Elia e la terza il Padre il Figlio e la nube, lo Spirito  Santo.
La prima è quella dei discepoli nella fede, che imparano dal maestro Gesù.
La seconda è il Maestro Gesù con altri due maestri: Mosé maestro degli israeliti ed Elia maestro di Eliseo. Rappresentano la speranza. Gesù infatti sta già predicando e la predicazione attesta l'azione della fase della speranza.
Poi c'è la Trinità divina che rappresenta la carità.

Gesù porta i tre discepoli  da soli sul monte: i discepoli  rappresentano fede speranza e carità nella fede e la solitudine indica che sono escluse le virtù naturali: è un discorso prettamente religioso.
Lo splendore di Gesù indica il raggiungimento della perfetta purezza (bianchezza) e speranza (luce che si spande). Lo splendore dunque è una purezza attiva, che si muove verso i discepoli e unisce la purificazione della fede e l'azione della speranza. Mosé ed Elia non sono simboli ma persone vive che parlano con Gesù.
Pietro a questo punto propone la costruzione di tre capanne per i tre profeti. Pietro non sa quello che dice perché vorrebbe che la speranza obbedisse alle leggi della fede diventando statica quando al contrario la speranza è vita è movimento. Il motivo di coloro che ostacolano la predicazione e la vita nella religione è la paura. A questo punto una voce da cielo -il Padre- rivela l'identità di Gesù: lui è il Figlio. Gesù non è soltanto fede e speranza, ma anche carità, essendo l'amato. Questo è il senso della trasfigurazione: Gesù si rivela come Figlio e come carità.  E questa dimostra ulteriormente che Gesù è Dio: nessuno può essere nella fase della carità pur essendo ancora in quella della speranza, perché la prima si conquista dopo la seconda. A meno che non sia da sempre nella carità e quindi da sempre perfetto. 
I discepoli hanno il divieto di raccontare ciò che hanno visto perché solo la passione può spiegare il significato dell'amore di Dio, e la passione è giustificata dalla resurrezione. Era necessario che prima che si sapesse che Gesù è amore si mettesse anche la croce in questo amore. La croce è resa sensata dalla risurrezione e dunque solo dopo di questa i discepoli avrebbero potuto dire che Gesù è la carità.
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